31.1.09

LA VIOLENZA SULLE DONNE E LE ISTITUZIONI


Riceviamo e pubblichiamo una riflessione-denuncia di Donatella Aprile, architetto e dirigente regionale del nostro Movimento, sul rapporto tra il ruolo delle istituzioni e la violenza contro le donne.

L’apporto di questo contributo vuole partire ricordando un seminario svoltosi a Catania nel lontano 1982 organizzato dal Coordinamento per l’autodeterminazione della donna dal titolo: “Le donne, il tempo ritrovato e le istituzioni” . Se allora il bilancio fu negativo al punto da indurre a rileggere il titolo rovesciandone il senso, “istituzioni, tempo perduto, donne”, quale può essere oggi una formulazione nuova del rapporto donne/istituzioni? Il mutamento, categoria fondamentale della politica e della storia, ha, e in che modo, raggiunto entrambi i poli di questa relazione soprattutto quando affrontiamo il “fenomeno” della violenza contro le donne?

Gli attori sociali e istituzionali hanno un ruolo di grande importanza in relazione al fenomeno della violenza contro le donne, essi possono contribuire a dare rilevanza al fenomeno e a fornire risorse e supporto o, al contrario, possono agire come fattori di sottovalutazione di esso e come agenti di nuove violenze sulle donne.

Come è noto, “aspetti” di fondo della violenza di genere sulle donne sono collegati o analoghi a quelli della violenza sui bambini, le cui “radici” si fondano solitamente negli ambienti socialmente più degradati perché in un contesto di ignoranza e di scarsa educazione alla vita sociale, l’individuo è meno abituato a controllare le proprie reazioni emotive e ciò lo induce ad esprimere sentimenti quali rabbia, rancore, dolore in modo inconsulto e violento spesso consumati tra le mura domestiche, le più protette, proprio nel luogo che reputiamo il più sicuro al mondo.

A tal proposito, nella classifica regionale redatta dall’EURES, la Sicilia occupa, per numero di violenze consumate in ambito familiare, il primo posto tra le regioni meridionali, seguita da Campania, Calabria, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Basilicata, Molise; mentre tra le province Roma è al primo posto invece Caltanissetta e Palermo sono al settimo posto di questa terrificante graduatoria. Un elemento accomuna però Nord e Sud, la “vittima”; infatti, 7 casi su 10 ad essere uccisa tra le pareti domestiche è una donna e 8 su 10 l’autore è un uomo.

Ed allora, focalizzando l’analisi sui rapporti di genere, osserviamo come ci sia una relazione profonda tra le tipologie della violenza emergenti, il metodo delle politiche di prevenzione, la formazione dello spazio pubblico detto “politica delle donne”. Il tema, pertanto, si può delineare secondo due ottiche complementari: “prevenzione della violenza di genere come azione politica” e “politica delle donne come prevenzione della violenza”.

Non vi è dubbio che i Movimenti delle donne contro la violenza sono stati gli attori sociali che per prima hanno dato visibilità al fenomeno, attivandosi anche in termini di risorse concrete, per dare risposte alle donne. Uno degli aspetti più rilevanti, infatti, è stata la metodologia dell’accoglienza, che scardina il tradizionale rapporto “paziente/utente” utilizzato dai Servizi e in alcune realtà i Servizi istituzionali hanno dato vita a esperienze innovative, mostrando permeabilità verso nuovi approcci.

In generale, tuttavia, gli attori istituzionali (comprendendo in queste anche le forze dell’ordine e quelle giudiziarie) tendono a mantenere una metodologia di intervento non ancora segnato dall’approccio di genere. La mentalità neutra rispetto al genere comporta un approccio professionale più tecnico, ma spesso comporta una “cecità” nei confronti delle dinamiche relazionali che scatenano il disagio sociale.

Certamente la Sicilia è cambiata in questi ultimi anni e progetti che qualche tempo addietro apparivano utopici possono forse prendere forma. L’indiscutibile ritardo nella costruzione di una tradizione di buon governo dell’ente locale, di cui Catania in particolare, ancora soffre per il susseguirsi di amministrazioni insensibili alle domande di “nuova qualità della vita”, ha incrociato una politica delle donne, ormai poco disposta a mediazioni praticabili.

Diciamo questo a posteriori, proprio riflettendo sul grande vuoto che ancora caratterizza il rapporto donne/istituzioni nelle nostre città, e tuttavia, se oggi sembra cha sia il Comune a sollecitare l’aggregazione di forze e di esperienze femminili, ritengo che in questo ci sia una ricaduta culturale diffusa dell’onda lunga femminista degli anni Settanta e Ottanta, rimessa in gioco dall’Europa come nuova opportunità per l’Ente locale di sanare una colpevole distrazione del passato.

Donatella Aprile



2 commenti:

Anonimo ha detto...

Analisi attenta,ma vorrei evidenziare come questo dato culturale incide su tutte categorie sociali e non solo su quelle nelle quali esiste povertà e miseria.La violenza sui minori come sulle donne è trasversale .E' proprio per questo se non si determina un forte movimento di opinione su ciò che rappresentano queste tipologie di reato, sarà veramente impossibile combattere questi atroci fenomeni.Maria

Anonimo ha detto...

siamo arrivati ormai a vivere una situazione impossibile!La sicurezza è diventata un optional, il governo cosi detto di destra ha fatto durante la campagna elettorale tante promesse: più forze dell'ordine in strada, più illuminazione, allontanamento dei campi rom....e si potrebbe andare avanti all'infinito. Conclusione mai come in questo periodo si sono sentite tante violenze sulle donne. Cominciamo ad urlare la nostra rabbia, non vogliamo vivere con la paura di uscire di casa. Basta siamo stufe!

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