4.12.07

DOCUMENTO PROGRAMMATICO DEL DIPARTIMENTO NAZIONALE DONNE LA DESTRA









"Su ogni esperienza personale lascio brandelli d'anima e partecipo a ciò che vedo o sento
come se riguardasse me personalmente e dovessi prendere una posizione
(infatti ne prendo sempre una basata su una precisa scelta morale)".


Oriana Fallaci








Index


- Manifesto delle donne de La Destra

- Organigramma Dipartimento nazionale donne



Proposte del Dipartimento Nazionale donne


- Regolamentazione della prostituzione in Italia:
Maria Antonietta Naso, responsabile dell’Ufficio giuridico del Dipartimento nazionale donne
Antonella Sambruni, responsabile nazionale del Dipartimento donne

- Pedofilia:
Maria Antonietta Naso, responsabile dell’Ufficio giuridico del Dipartimento nazionale donne
Antonella Sambruni, responsabile nazionale del Dipartimento donne

- Immigrazione, integrazione e cittadinanza - conoscere la lingua italiana:
Antonella Sambruni, responsabile nazionale del Dipartimento donne
Maria Antonietta Naso, responsabile dell’Ufficio giuridico del Dipartimento nazionale donne

- Tesi e proposte per una concreta comunicazione politica:
Maricò Sales, responsabile dell’Ufficio comunicazione del Dipartimento nazionale donne

- Sorveglianza epidemiologica di legge:
Barbara Nardacci, responsabile dell’Ufficio salute del Dipartimento nazionale donne

- Donne e medicina alternativa nel SSN:
Barbara Nardacci, responsabile dell’Ufficio salute del Dipartimento nazionale donne

- Pronto salute? Pronta risposta! Un numero per i quesiti degli utenti del SSN:
Barbara Nardacci, responsabile dell’Ufficio salute del Dipartimento nazionale donne

- Orientamento giovanile, una proposta concreta per colmare il profondo divario scuola-lavoro:
Manuela Marà, responsabile dell’Ufficio orientamento del Dipartimento nazionale donne

- Campagna informativa sulla partecipazione della donna (gender dimension) in Europa:
Georgia Alcis, responsabile dell’Ufficio politiche comunitarie del Dipartimento nazionale donne

- Traccia per la realizzazione di un centro giovanile polifunzionale:
Patrizia Passerini, responsabile dell’Ufficio politiche giovanili del Dipartimento nazionale donne

- Primo intervento per un neonato- la culla termica:
Simonetta Tema, responsabile dell’Ufficio Sicurezza e solidarietà del Dipartimento nazionale donne

- Gli anziani al servizio dei giovani:
Simonetta Tema, responsabile dell’Ufficio Sicurezza e solidarietà del Dipartimento nazionale donne

- Istituzione dei C.O.I.S. servizi per la tutela dei minori:
Rosaria Leonardi, responsabile della Regione Siciliana per il dipartimento donne

- Un centro di ascolto permanente per tutte le donne:
Chiara Folco, responsabile della Regione Liguria per il Dipartimento donne

- Infanzia a rischio e microcriminalità:
Maria Teresa Angiulli, responsabile della Regione Campania per il Dipartimento donne

- I servizi socio educativi per la prima infanzia - una esigenza imprescindibile per la famiglia del XXI secolo:
Ilaria Battistoni, Dipartimento donne di S. Giorgio a Cremano

- Integrazione alla Carta dei Diritti degli Animali - la pet therapy - il difensore civico degli animali-la cinofilia:
Marisa Borghi, responsabile Regione Toscana per il Dipartimento donne








Noi donne de “la Destra”, cittadine di questo Paese, ci impegneremo tutte:
a far rispettare sempre in ogni sede i principi espressi nella nostra Costituzione
a rispettare e a far valere in tutte le sedi della società civile, il valore di patria, della legalità, della solidarietà, della famiglia e della persona
a partecipare alla vita civile e politica delle nostre città
alla difesa della lingua e della cultura italiana
a proporre azioni a favore della centralità dei diritti del cittadino
al miglioramento della macchina amministrativa nel rispetto delle regole di trasparenza
ad opporci a tutte le forme dirette e indirette di organizzazione criminale per il rispetto rigoroso delle vittime e del nostro Paese
a sostenere gli immigrati nel rispetto e nell’accettazione delle nostre regole civili
contro ogni forma di violenza, fisica, psicologica e sessuale
per la tutela della vita
per la tutela dell’ambiente
per una scuola capace di valorizzare
per un sano progresso della ricerca scientifica
a sensibilizzare e promuovere azioni a favore delle disabilità
a far rispettare l’individualità e la qualità della vita di ogni persona anziana
per sostenere quanti fuori e dentro il nostro Paese proteggono i nostri valori
per non dimenticare mai quanti nel nostro Paese hanno lottato per un’idea
Dipartimento nazionale donne


Segretario nazionale

sen. Francesco Storace


Ufficio nazionale:

Antonella Sambruni Responsabile nazionale
Costanza Afan de Rivera Responsabile nazionale
Mariantonietta Naso Responsabile Ufficio giuridico legislativo
Maricò Sales Responsabile Ufficio comunicazione
Barbara Nardacci Responsabile Ufficio salute
Manuela Marà Responsabile Ufficio orientamento
Georgia Alcis Responsabile Ufficio politiche comunitarie
Patrizia Passerini Responsabile Ufficio politiche giovanili
Simonetta Tema Responsabile Ufficio solidarietà e sicurezza

Responsabili regionali:

Marisa Borghi Responsabile della Regione Toscana
Cristina Rossi Responsabile della Regione Umbria
Rosaria Leonardi Responsabile della Regione Siciliana
Maria Gemma Grusovin Responsabile della Regione Friuli V.G.Chiara Folco Responsabile della Regione Liguria
Bruna Gisellu Responsabile della Regione Sardegna
Gloria Santandrea Responsabile della Regione Emilia Romagna
Maria Teresa Angiulli Responsabile della Regione Campania
Nicoletta Perino Responsabile della Regione Piemonte
Stella Mele Responsabile della Regione Puglia
Bonofiglio Patrizia Responsabile della Regione Calabria
Anna Maria Gava Responsabile della Regione Veneto

Responsabili provinciali:

Rossella Solidoro Responsabile Provincia di RomaPatrizia Rigliaco Responsabile Provincia di Firenze
Camilla Cosa Responsabile Provincia di Matera
Maria Grazia Zagnoli Responsabile Provincia di Modena

Responsabile della città di Roma
Rosa Cherubini

Hanno dato la loro disponibilità: Rosa Poggesi, Lucia Alonzi, Ilaria Battistoni, Lorenza Razzano, Ornella Lucarelli, Nunziella Scuderi, Maria Migliore, Patrizia Monaco, Francesca Pedalino, Concetta Falcone, Annamaria Porta, Barbara Leone, Luciana Crivellino, Giuseppina Forte, Denise Bianco.




Regolamentazione della prostituzione in Italia


In tema di prostituzione, nel secondo dopoguerra, si è assistito ad una progressiva conversione all’abolizionismo dei paesi dell’Europa occidentale, con la chiusura dei bordelli. Fenomeno pienamente condiviso dal cattolicesimo che non ha voluto mai riconoscere la prostituzione come uno status pubblico, ignorandola e fingendo che non esista.

La posizione abolizionista è stata da più parti attaccata: dalle stesse prostitute che, pur potendo liberamente scambiare sesso e denaro, senza l’intervento dello Stato si sono sentite meno protette e limitata la loro capacità di agire; da quei cittadini che patiscono disturbo notturno e anche da quelli che vogliono togliere dalla vista il commercio del sesso e da chi infine ritiene insufficiente la regolamentazione per gestire il fenomeno, problema quest’ultimo diventato rilevante a seguito dell’immigrazione dai paesi poveri
In molte città europee sono state approvate norme, di solito a livello comunale, che hanno regolato il fenomeno, individuando zone o locali e condizioni per svolgere il commercio del sesso.

In Italia la prostituzione viene regolata dalla legge 20 febbraio 1958 denominata legge Merlin (dal nome della proponente senatrice Tina Merlin ) e vengono chiuse le case di tolleranza che all’epoca ammontavano a circa 1300. A seguito della chiusura il fenomeno della prostituzione purtroppo non viene frenato, ma anzi aumenta e si riversa sulle strade dando luogo a grossi problemi.

La situazione di marginalità in cui si trovano le prostitute facilita la subordinazione a protettori vari, gli abusi delle forze dell’ordine, incoraggia la corruzione, dando luogo alla nascita dei reati di sfruttamento e favoreggiamento e inoltre, rende chi si dedica a questo commercio, meno raggiungibile dagli operatori sociali che possono offrire informazioni e mezzi per la protezione della salute e aiuto per uscire da situazioni di sfruttamento o di disagio.

La legge Merlin quindi si è rivelata inadeguata, con molti limiti e principalmente non idonea ai cambiamenti sociali e culturali del Paese. Infatti a distanza di 50 anni si ribadisce che il fenomeno della prostituzione è degenerato, che le nostre strade si sono riempite di donne, più o meno giovani, moltissime provenienti da paesi stranieri ed ha incentivato lo sfruttamento da parte di organizzazioni criminali, che gestiscono tale attività con violenza, minaccia ed inganni dietro rilevanti profitti, con un fatturato di diversi milioni di euro, tanto da diventare una vera e propria “industria”, nonostante le sanzioni penali previste
Si stima che sulle strade italiane operino dalle 50mila alle 70mila prostitute, per un giro di affari di quasi 180 miliardi delle vecchie lire al mese. Delle suddette prostitute circa il 25% sono di origine straniera (Nigeria, Albania, Polonia, Bielorussia, etc.), circa un 20% sono minorenni.

E’ da sottolineare che a seguito del dilagare della prostituzione nelle strade, si sono diffuse ad ampio raggio importanti malattie veneree a cui si è aggiunta la minaccia dell’AIDS!

Chi non ha voluto fare questa scelta repressiva, si è mosso verso una regolamentazione. In alcuni Stati europei, infatti, la prostituzione è stata regolamentata e l’attività legata ad essa considerata una vera professione, sotto forma di lavoro dipendente, indipendente o cooperativo, con ogni diritto e dovere conseguente, compresa l’ assicurazione previdenziale e la tassazione:

Gran Bretagna: la prostituzione non è proibita, ma lo sono alcune attività connesse, come l’adescamento in luogo pubblico. Le case di appuntamento sono illegali. Sono punibili le prostitute ma non i loro clienti. Commette reato chi abborda una prostituta per strada.


Olanda: la prostituzione è una professione e per esercitarla basta avere 18 anni e l’autorizzazione a risiedere in territorio olandese. Le donne lavorano in appartamenti o in case di appuntamento. Sono presenti i distretti a luci rosse.

Germania: è consentito l’esercizio della prostituzione e sono presenti le case chiuse. Le donne coinvolte nel fenomeno pagano le tasse.

Svizzera: possono esercitare la prostituzione a livello professionale solo le persone che hanno raggiunto la maggiore età sessuale (fissata dalla legge a 16 anni), dispongono di un permesso di soggiorno e di lavoro, rispettano le condizioni quadro vigenti. Sono punibili dalla legge, la promozione della prostituzione e lo sfruttamento degli atti sessuali. I “protettori” delle prostitute, i proprietari delle case chiuse e altri datori di lavoro commettono reato se le donne che esercitano la prostituzione non sono libere di decidere autonomamente quali clienti vogliono servire. Sono controllate durante l’esercizio della loro attività, non possono disporre liberamente delle loro entrate, sono obbligate a prostituirsi contro la loro volontà.

In Francia come noto sono abolite le case chiuse ma negli ultimi tempi si è riacceso il dibattito in favore della loro riapertura e l’attuale Governo ha predisposto un pacchetto normativo dove tra l’altro è previsto un progetto di legge sulla prostituzione.

Anche se da un punto di vista morale la prostituzione può essere disapprovata, non possiamo ignorarla e non considerarla un fenomeno attuale e andrebbe pertanto riformulata una proposta di legge che tenga conto dei mutamenti avvenuti e in linea con le esigenze della attuale società.

Il Dipartimento nazionale donne propone l’abrogazione della legge Merlin e la riformulazione di un nuovo testo dove siano messi in evidenza i seguenti punti:


Sicurezza sanitaria: obbligo di controlli per i c.d. lavoratori sessuali
Divieto di prostituzione nei luoghi pubblici e costituzione di appositi edifici siti in determinate aree urbane, lontani dalle abitazioni civili per il solo esercizio del mestiere, con divieto di abitazione
Divieto di prestazione sessuale per i minori di ogni nazionalità
Revisione del trattamento sanzionatorio e della normativa penale in materia di prostituzione
Riconoscimento della prostituzione come lavoro legalmente tassato e regolamentato
Costituzione di specifici centri sociosanitari qualificati all’espletamento di colloqui obbligatori informativi prima di intraprendere l’attività di prostituzione e prestazione di aiuto a chi volesse abbandonarla (allocati negli edifici dove viene praticata l’attività di prostituzione)
Regolamentazione del flusso immigratorio e norme per arginare la clandestinità delle donne
Collaborazione con il Ministero del lavoro e previdenza sociale, di concerto con quello della salute, dell’economia e dell’interno


Mariantonietta Naso, responsabile dell’Ufficio giuridico del Dipartimento nazionale donne
Antonella Sambruni, responsabile nazionale del Dipartimento donne


(il Dipartimento nazionale donne e il Dipartimento rete del sociale, istituiranno un tavolo permanente interdipartimentale al quale parteciperanno tutte le categorie interessate)





Pedofilia



La pedofilia è tra i mali oscuri della nostra società ed uno dei più gravi e sentiti da tutta la collettività, perché i protagonisti delle tante storie tristi e agghiaccianti sono i bambini, piccole esistenze che si spezzano per il brutale impatto di adulti deviati, generando terribili effetti. Da specifici studi è risultato che, rispetto alla media della popolazione, i bambini coinvolti nella pedofilia hanno una probabilità più alta del 500 % di ammalarsi in età adulta di depressione e del 400 % di ricorrere al suicidio.

Il pedofilo è una persona subdola che sa rapportarsi molto bene con i bambini, comportandosi da amico e facendo sentire loro che possono fidarsi di lui. Spesso le violenze avvengono tra le mura domestiche, proprio lì dove i bambini dovrebbero essere più al sicuro, compiute dagli stessi familiari o da persone amiche e purtroppo, non sono circoscritte solo alle famiglie degradate, ma si estendono a tutte le classi sociali e a tutte le categorie di professionisti.

I dati raccolti sono sconcertanti ed evidenziano un fenomeno in costante aumento anche per la diffusione tramite Internet. La rete, infatti, facilita per sua natura lo scambio di opinioni e quindi anche la diffusione della pedopornografia.

I numeri dell’orrore corrono da un capo all’altro del mondo, in Italia ogni anno si registrano 23.000 casi di pedofilia. La fascia più coinvolta è quella fra gli 11 e i 14 anni ma è in aumento anche quella tra 0 e 10 anni. Nel Regno Unito, secondo i dati forniti dal Ministero dell’interno, nel biennio 2005-2006, circa cinquemila ragazzi di età inferiore ai 16 anni sono stati violentati e almeno seimila sotto i 13 anni hanno subito molestie sessuali. In tutto il mondo circa 150 milioni di bambine e 73.000 milioni di bambini sotto i 18 anni subiscono ogni anno “manipolazioni” e contatti sessuali forzati. Due milioni di bambini nel mondo sono sfruttati nella produzione di pellicole pedopornografiche e più di un milione risultano vittime di turpi traffici che hanno come destinazione i “baby-bordelli tropicali”.

La pedofilia, definita come l’attrazione sessuale verso bambini in età pubere o pre-pubere, cioè in età generalmente inferiore a 13 anni, in psichiatria è catalogata nel gruppo delle parafilie, ovvero fra i disturbi del desiderio sessuale e come tale, come sostenuto, non può considerarsi una malattia fisica curabile dalla quale cui si possa guarire, ma, piuttosto, una patologia della psiche che non si risolve attraverso un intervento mirato esclusivamente sul corpo.

Sicuramente una legge non è sufficiente per cancellare gli orrori delle violenze della pedofilia, ma può rappresentare un argine alla diffusione di questo reato oltre ad un contributo per combatterlo. Il problema deve essere necessariamente affrontato e, se non debellato, almeno represso, per annullare gli effetti antiumani di questa perversa e diabolica pratica.

Negli ultimi anni, a causa dei clamorosi casi di pedofilia sadica in Italia, sono state invocate da più fonti degli interventi terapeutici per i pedofili e tra questi, anche la castrazione chirurgica, che ha avuto in altri paesi un grande impiego nel trattamento dei crimini sessuali, ma, nel caso specifico dell’argomento trattato, non serve perché l’atto sessuale pedofilico non richiede necessariamente l’erezione né tanto meno la penetrazione, ma anche solo compiacimento a guardare, a toccare, a far compiere gli atti ad altri, a fotografare, ad annusare semplicemente la vittima, oppure ad usare violenza con corpi estranei e oggetti.

In Italia la pedofilia come reato è disciplinata dalla legge n. 66 del 15 febbraio 1996 “ Norme contro la violenza sessuale” e dalla legge 269/1998, che hanno introdotto degli specifici articoli nel codice penale e recentemente è stata aggiornata dalla legge 38/2006 “Disposizioni in materia lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedo-pornografia anche a mezzo Internet”.
L’introduzione nel nostro codice penale in materia di pedofilia di pene sensibilmente più severe rispetto a quelle previste, dirette ad ottenere condanne più forti da parte dei giudici, non sembra da sola essere sufficiente a combattere questo reato così aberrante. Diventa quindi necessario, oltre che correggere il regime sanzionatori insufficiente, introdurre strumenti diversi.

Si parla molto oggi di castrazione chimica, ovvero la somministrazione periodica all’incriminato di particolari farmaci, utilizzati solo in casi specifici per la cura di precise forme tumorali che si è visto hanno l’effetto di inibire la secrezione degli ormoni maschili e quindi la libido.

In diversi Stati d’oltreoceano (California e Canada) ed europei (Francia, Germania, Danimarca, Svezia e Norvegia) la castrazione chimica è già legge. A Londra viene praticata, dietro richiesta volontaria, per i pedofili recidivi ed è stato proposto di renderla obbligatoria per tutti i condannati per pedofilia.

Ma anche se l’intervento di castrazione in alcune parti del mondo consegue un certo successo, la questione rimane aperta per quanto riguarda la capacità dei farmaci di innescare uno stabile mutamento di comportamento nel soggetto pedofilo. Infatti non esistono studi scientifici in grado di ritenere che una terapia di questo tipo sia risolutiva, in quanto produce i suoi effetti sino a quando viene somministrata, per poi cessare ogni effetto in seguito alla sospensione della terapia

La pedofilia allo stato attuale non ha cure efficaci che possano garantire una reale “guarigione”. Infatti la percentuale di recupero dei pedofili tentata sia in Europa che nel mondo, rispetto all’espansione del fenomeno, è bassissima ed è pari al 3-5 % !
Un grande aiuto nella lotta alla pedofilia si è avuto da interventi a più ampio spettro quali le campagne informative sulla cultura dell’infanzia, sulle relazioni familiari operate attraverso tutti i canali disponibili, dalla scuola alla famiglia, ai mass media ad Internet.

In conclusione, per risolvere quanto più possibile il problema della pedofilia, non si possono che abbracciare tutti gli argomenti trattati.

Il Dipartimento donne propone:

Potenziare le campagne informative alle famiglie attraverso ogni possibile canale.
Offrire strumenti di conoscenza e formazione agli adulti che sono a stretto contatto con i bambini, dai familiari alla scuola che hanno il delicato compito di ascoltarli e dialogare con loro affrontando insieme le loro ansie e i loro problemi.
Dare aiuti alle associazioni che lottano contro la pedocriminalità
Rafforzare le indagini conoscitive sul reo, rendendole pubbliche a chi ne faccia richiesta a fini di tutela.
Inasprire le pene previste.
Interdire per sempre i colpevoli dalla curatela, dalla potestà e tenerli lontani per tutta la vita da qualsiasi possibile contatto con i minori, sia in ambito familiare che sociale.
Sottoporre il reo ad una perizia psicologica per capire il tipo di percorso rieducativo a lui necessario. Il percorso viene effettuato in carcere, da servizi sociali e sanitari specializzati e continuato per un periodo anche dopo lo sconto della pena al fine di rendere il colpevole consapevole della propria responsabilità nel reato sessuale compiuto e dell’offesa impartita alle vittime.
Studiare piani di prevenzione, atti ad individuare i fattori che possono far deviare ulteriormente
Introdurre, a sostegno della terapia socio riabilitativa, la castrazione chimica, senza sconto di pena (altrimenti potrebbe essere una scelta di comodo per abbreviare la detenzione) al fine di evitare ulteriormente un’eventuale recidiva.
In caso di recidiva, dopo lo sconto della pena, tenere a vita in specifici istituti il colpevole facendolo lavorare.


Mariantonietta Naso, responsabile dell’Ufficio giuridico del Dipartimento nazionale donne
Antonella Sambruni, responsabile nazionale del Dipartimento donne

in collaborazione con: Nicoletta Perino, responsabile della Regione Piemonte per il Dipartimento donne


(il Dipartimento nazionale donne e il Dipartimento rete del sociale, istituiranno un tavolo permanente interdipartimentale al quale parteciperanno tutte le categorie interessate)


Immigrazione, integrazione e cittadinanza: conoscere la lingua italiana





Il 1° gennaio 2007, l’ISTAT, nel suo rapporto annuale, ha rilevato che gli stranieri residenti in Italia sono 2.938922, di cui 1.473.073 uomini e 1.465.849 donne.
Secondo l’Istituto di statistica, in Italia sono molti gli immigrati che diventano italiani per acquisizione di cittadinanza e che, fino al 2006, gli stranieri che l’hanno ottenuta ammontano a 215.000.

Il Dipartimento nazionale donne ritiene che parlare di immigrazione, integrazione e di cittadinanza, non può prescindere dall’affrontare, necessariamente, altri argomenti quali la formazione culturale e la conoscenza della lingua. E che se tale sistema venisse applicato, si potrebbe riuscire a risolvere parte del nostro problema sociale con gli immigrati che scelgono l’Italia quale loro definitiva destinazione.

La conoscenza della lingua offre la possibilità di scoprire il suo popolo, la sua cultura, la sua religione ovvero la sua vita. La lingua è il mezzo attraverso il quale si costruisce un rapporto, perché con la parola è possibile comprendere ogni forma di cultura, eliminare le differenze e aiutare l’integrazione. Dalle molte ricerche effettuate, è emerso che lo straniero che conosce la lingua del paese che lo ospita è più disponibile ad uscire dalla sua comunità di origine e ad interagire positivamente con il mondo circostante.

L’immigrato che sa la lingua ha buoni rapporti con i suoi connazionali e tende ad assumere atteggiamenti meno rissosi nei confronti dei cittadini del paese che lo ospita. La conoscenza della lingua oltre ad essere un veicolo conoscitivo diviene lo strumento attraverso il quale si riduce la diffidenza e si migliora l’integrazione sociale, comportando una ricaduta importante nel campo lavorativo. Difatti, i lavoratori stranieri che conoscono bene la lingua italiana, hanno più possibilità di migliorare la loro posizione professionale, mentre la non conoscenza della lingua, rende lo straniero fragile e facilmente influenzabile, con il rischio di trovare occupazioni dequalificanti se non criminose dalle quali non sarà difficile uscire.

Il Dipartimento nazionale donne propone che gli stranieri che vogliano trasferirsi in Italia o per motivi di lavoro, anche se per periodi limitati nel tempo, o che scelgano di vivere nel nostro Paese, debbano preventivamente frequentare corsi di lingua italiana. Le nostre Ambasciate, i nostri Consolati o strutture a loro collegate - presso i paesi stranieri – si facciano carico di programmare corsi di lingua italiana da frequentare obbligatoriamente prima del rilascio del necessario visto d’ingresso. La frequenza ai corsi dovrà essere controllata e riportata su apposito documento che sarà inserito all’interno del fascicolo relativo al cittadino straniero.

La conoscenza della lingua favorirebbe gli immigrati nel rapporto di vita quotidiano con i cittadini, con gli uffici pubblici, con le strutture sanitarie, con gli insegnanti e con i compagni di scuola dei loro figli, e non da ultimo, per una maggiore comprensione del significato delle feste e dei riti del Paese.

Sull’argomento è intervenuta la Comunità Europea che ha stabilito una serie di parametri da applicare ai flussi migratori in arrivo, per verificare la conoscenza delle lingue, ed è molto probabile che nei prossimi mesi l'ingresso nel nostro Paese sarà subordinato ad un esame di lingua.


Antonella Sambruni, responsabile nazionale del Dipartimento donne
Mariantonietta Naso, responsabile dell’Ufficio giuridico del Dipartimento nazionale donne




Tesi e proposte per una concreta comunicazione politica




“Studiare la natura degli elettori per mantenerci vigili. Capire cosa è importante per loro e cosa non lo è, cosa è fondamentale e cosa marginale, per sapere cosa aspettarci e in cosa non sperare. Rispettare ciò che gli sta veramente a cuore e comprendere ciò che gli fa male per cautelarci da tradimenti e menzogne”.
Sono frasi dello scrittore Abraham B.Yehoshua che si adoperano come incipit di questo documento poiché la loro “non applicazione” sembra quasi potersi ricondurre ad una delle possibili motivazioni dell’allontanamento delle persone dalla politica e dagli uomini che la rappresentano, ovvero una mancata comprensione che porta ad una errata comunicazione.

Oggi i santi protettori dell’umanità intera sono rimasti solo in due : Santo Google e Santa Wikipedia e sono santi importantissimi, perché ci hanno donato quello che faticosamente prima si conquistava con il capo chino sui libri o ascoltando e assorbendo i racconti della nostra tradizione, ovvero il sapere, la conoscenza, la cultura suscitando in noi il naturale desiderio di comunicare, condividere, scambiare ed arricchire con altri questo nostro personale bagaglio.
L’imperativo, dunque, è uno solo ed è formato da due magiche parole: “clicca su”. In questo modo, sfiorando semplicemente un tasto, si apre un mondo fantastico, pressoché senza confini e l’utente ha accesso a piene mani al tesoro magico dell’informazione che tiene unicamente per sé, a proprio uso e consumo, come se ne fosse l’unico depositario. L’utente si informa, a sua volta informa altri, unicamente per far sfoggio del proprio sapere, ma non comunica.

Ecco perché bisognerebbe ridare valenza esatta al significato e al contenuto della parola comunicazione, che, al contrario dell’informazione che è lineare e statica, è multidirezionale e dinamica, quasi un multilevel dell’informazione medesima.

Questo concetto va applicato alla politica ove le strutture sono ovviamente piramidali. Ma, al contrario di quanto si possa pensare, la comunicazione deve partire dalla base, costituita dall’elettorato vero e proprio, per giungere alla prima fascia degli eletti, i consiglieri municipali e poi, di seguito, ai consiglieri comunali, a quelli provinciali, a quelli regionali per arrivare ai parlamentari eletti nei collegi e finalmente, compatta e piena di informazioni giungere ai vertici del loro partito che ne sapranno fare l’uso più adatto, ovvero diventarne la “voce” ed il “referente” nelle sedi istituzionali preposte.

A questo punto, tutto dovrebbe essere pronto per “informare”, ovvero dare puntuale notizia all’esterno. Ma, oggi, il desiderio di apparire sui media e di giungere prima di ogni altro politico sulla notizia, priva purtroppo la notizia stessa della sua essenza primaria, ovvero del contenuto. Si assiste quindi a una sorta di bagarre continua che viene esaltata in ogni modo possibile, raggiungendo velocemente gli utenti tramite web, lanci di agenzia o sms trasmessi sui cellulari, ma confondendo al contempo l’utente che ha la netta sensazione che esponenti politici dello stesso partito non comunichino fra loro o addirittura non si parlino del tutto, tanto diverse e talora contrastanti sono le dichiarazioni espresse sul medesimo argomento.

L’utente diventa, quindi, il dominus della situazione e grida a gran voce che lui la notizia la conosce già, prima del povero detentore di cellulare di prima generazione o prima di chi non ha la possibilità o non sa adoperare il computer. In questo modo per reazione a catena la notizia implode, si esaurisce e non diventa contenuto e vera comunicazione. In seguito, si continua ad ingenerare la confusione più totale, prima con i telegiornali e poi con i quotidiani del giorno dopo, che, ovviamente, come i terminali di un telefono senza fili, riportano notizie che appaiono modellate o ammorbidite o esaltate, sino a diventare in alcuni casi, veri e propri palchi di gogna mediatica.

Poiché la mancanza di comunicazione trova un suo comodo habitat anche nell’ignoranza delle leggi, nel non corretto utilizzo e conoscenza dei sistemi informatici continuamente in evoluzione, nella mancanza di un curatore di immagine del personaggio politico e nella non completa formazione degli addetti alle segreterie politiche, il Dipartimento nazionale donne propone di istituire:

1) una Unità permanente che vigili sulla corretta applicazione delle norme che regolano la materia del pluralismo televisivo e della par condicio in periodi elettorali e non elettorali

2) una apposita struttura, nella sede nazionale del Partito ed in ogni sua Federazione comunale, provinciale, regionale, dotata di personale preparato che possa insegnare agli addetti ai lavori l’uso corretto dei computer, dei sistemi operativi necessari, della gestione della posta elettronica, delle ricerche INTERNET o INTRANET, ma soprattutto le regole e i principi della netiquette, così come approvata dalla Registration Authority Italiana.

Legenda :
“Fra gli utenti dei servizi telematici di rete, prima fra tutte la rete Internet ed in particolare fra i lettori dei servizi di news Usenet, si sono sviluppati nel corso del tempo una serie di tradizioni e di principi di buon comportamento, che vanno collettivamente sotto il nome di netiquette (crasi fra le parole net-rete ed étiquette-buona educazione). Tenendo ben a mente che l’entità che fornisce l’accesso ai servizi di rete (provider, istituzione pubblica, datore di lavoro…) può regolamentare in modo ancor più preciso i doveri dei propri utenti, si riporta un elenco dei principi fondamentali cui tutti sono tenuti ad adeguarsi”:

- quando via posta elettronica si arriva in nuovo news group o in una nuova mailing list, è bene leggere i messaggi per un breve periodo in modo da rendersi conto di argomenti e metodi prima di inviare i propri messaggi in giro per il mondo;
- non inviare posta elettronica inserendo il proprio indirizzario del campo “Cc” o “To” , effettuando una palese violazione della privacy, ma nel campo “Ccn” (così come previsto ai sensi dell'art. 7, comma 3, lettera b, del D. Lgs. n. 196 del 30/06/2003);
- le mail devono essere sintetiche e descrivere in modo chiaro e diretto il problema;
- quando si scrive, non bisogna usare i caratteri tutti in maiuscolo (tasto SHIFT) sia nell’oggetto che nel testo del messaggio in quanto ciò equivale ad “urlare”;
- evidenziare, quando si risponde ad un messaggio, i passaggi rilevanti di quello primario per non riportare inutilmente e sistematicamente l’intero messaggio o trascinare inutilmente pesanti attachment ;
- non pubblicare mai il contenuto di messaggi di posta elettronica senza l’esplicito consenso dell’autore;
- non inviare messaggi pubblicitari o comunicazioni che non siano stati richiesti esplicitamente;
- non si deve essere intolleranti con chi commette errori sintattici o grammaticali, ma chi scrive è comunque tenuto a migliorare il proprio linguaggio in modo da risultare comprensibile.

A questi principi, ovviamente vanno aggiunti quelli che il buon senso comune suggerisce, come ad esempio inviare una e-mail senza oggetto, cosa che, in presenza di numerosi messaggi in entrata, impedisce una prima lettura dell’argomento, oppure il trasferimento di archivi voluminosi soprattutto in orari ove si può rischiare di compromettere il rendimento complessivo della rete, oppure il bloccare la richiesta di ricezione di un messaggio, o usare l’e-mail per scopi illegali o privi di etica, o inviare messaggi privati dal luogo di lavoro. Ma, il primo fra tutti i comportamenti scorretti, è quello di compromettere il funzionamento della rete e degli apparecchi che la costituiscono con programmi (virus, trojan horses….) costruiti appositamente: questi sono veri e propri crimini elettronici e come tali sono punibili dalla legge;

3) la figura permanente, non solo in vista o durante le tornate elettorali, del curatore di immagine dell’esponente politico.

Legenda:
Si suggerisce tale figura non perché l’apparire conti più del contenuto, bensì perché è maggiore la predisposizione ad ascoltare una persona che parli pacatamente, rivolgendosi al proprio uditorio ed esponendo in modo sintetico, concetti e frasi che vengano interamente compresi da tutti, riuscendo
a far interagire con assoluta naturalezza e spontaneità il cuore e la mente ed in maniera da presentarsi diretto e semplice. Il linguaggio del corpo è il primo messaggio trasmesso all’interlocutore o al pubblico.
Come afferma Paul Watzlawick, del Mental Institute di Palo Alto in California, in quello che è stato definito il primo assioma della comunicazione,“è impossibile non comunicare”: il comportamento non ha un suo opposto, ovvero non è possibile “non comportarsi”.
In parole semplici, ogni comportamento comunica qualcosa e sarà dunque impossibile, “non comunicare”;

4) una figura professionale che organizzi la struttura e l’organizzazione delle segreterie politiche, istituzionali e personali, in grado anche di operare apposita selezione del personale addetto alle medesime e di seguirne una eventuale formazione professionale.

Legenda:
L’organizzazione di questa particolare e delicata tipologia di segreteria e la preparazione del personale addetto è fondamentale, in quanto tale struttura, insieme con i suoi componenti, rappresenta la prima immagine della persona cui ambedue rispondono e che rappresentano. Occorre quindi dare ruoli e responsabilità ben definiti, ma è fondamentale che ciò non porti ad una blindatura degli stessi, ma ad un consapevole e costruttivo gioco di squadra, al fine di giungere ad un produttivo e soddisfacente scopo finale, sia per chi materialmente esegue il lavoro, sia per il committente dello stesso. Occorre far comprendere appieno il rispetto del codice deontologico professionale e ove possa servire, ricordare che “siamo dotati di due orecchie ma di una sola bocca”. E’ inutile rammentare l’esito disastroso ingenerato da chiacchiere, supposizioni, frasi riportate o parole ascoltate, mal riportate, ingigantite. Si parla di tutti i livelli, dall’addetto al centralino, al responsabile dating, fino ad arrivare ai segretari, agli assistenti, ai caposegreteria, all’addetto stampa, al responsabile delle relazioni esterne. Spesso, il primo approccio è quello più importante e non c’è nulla di maggiormente deludente e destabilizzante per chi chiama le segreterie di partito, magari un po’ intimidito e confuso, del sentirsi rispondere in maniera impersonale o confusa.

A chiosa di quanto esposto si espongono le seguenti considerazioni:
- la tecnologia informatica deve supportarci nella vera comunicazione e non sostituirsi a noi, poiché sistemi, programmi e grafici non possono prendere il posto di mente, ingegno, anima e voglia di fare;
- nel campo della vera comunicazione, nel caso di specie quella politica, non dimenticare di essere una famiglia, perché da una famiglia non ci si divide, ci si unisce soltanto e ciò può avvenire solo comunicando nel giusto modo;
- ove si delega il proprio lavoro ad altri, bisogna fidarsi di lui, non solo per velocizzare e snellire il lavoro, ma soprattutto perché questo significa avere una squadra perfetta, attenta, motivata, gratificata e che non tradisce;
- si dovrebbe prendere esempio dal teatro greco, ove gli attori invitavano gli spettatori a sedersi nell’emiciclo, come colleghi, tutti intorno, in modo che le parole, i pensieri, le strategie e persino la gestualità (che non è altro che un ulteriore modo di comunicare più o meno palese), potessero essere trasmessi in modo immediato, diretto, semplice e coeso;
- se qualcosa non va per il verso giusto o come programmato, non indulgere o abbandonarsi nel confortevole quanto inutile “rifiuto della speranza”, ma applicare la legge “come” e non quella del “perché”, in quanto l’esigenza primaria è quella di scoprire eventuali errori e correggerli e non quella di individuare colpevoli;
- la vera politica nasce da una passione che è un sentimento vero, forte, innato e non riconducibile solo a meri parametri di forza numerica, di adesioni, di presenze politiche sul territorio o di sondaggi. Per questa sua natura, è necessario tenere a mente la prudenza, l’umiltà, la responsabilità individuale e collettiva, il senso della realtà e questi sono i valori che devono essere trasmessi.
Non si può, quindi, fare vera politica, vera comunicazione e quindi vera politica comunicativa, pensando cautelativamente di incamminarsi o, peggio, percorrere la strada della possibile difesa e/o accettazione del “senso dell’assurdo” di camusiana memoria (“vivere l'Assurdo non è dare un nuovo significato alle cose del mondo, ma badare solo alle conseguenze di ciò che accade; ciò che accade si ‘scioglie’ dalle possibili qualificazioni per ‘immergersi’ nell'equivalenza del tutto”): ciò, è lesivo di ogni dignità, improponibile, ingiustificabile ed è movente, arma e causa di non-aggregazione umana e politica.

Maricò Sales, responsabile dell’Ufficio comunicazione del Dipartimento nazionale donne










Sorveglianza epidemiologica di legge



Obiettivi dell’OMS per il controllo delle malattie infettive nella Regione Europea – Target 7

HEALTH 21: the Health for all policy framework for the WHO European Region,
WHO-EURO, 1999

“Entro l’anno 2000, le conseguenze negative delle malattie trasmissibili dovrebbero essere ridotte in maniera sostanziale attraverso l’applicazione sistematica di programmi per l’eradicazione, eliminazione o controllo di malattie infettive rivelanti per la sanità pubblica…”


La legislazione italiana è una delle migliori in Europa in merito all’assistenza sanitaria ai migranti per quanto riguarda la cura degli stessi. Ci supportano questa affermazione anche Medici senza Frontiere e la prestigiosa rivista The Lancet. Basti pensare ai centri salute dedicati ai migranti nelle ASL locali del Sud o al fatto che dal 1999 anche gli immigrati clandestini “hanno il diritto a ricevere cure mediche all’interno degli ospedali con la garanzia di non essere denunciati alle Autorità”.
Tuttavia, per scarsa informazione del personale delle ASL riguardo all’immigrazione clandestina, per la barriera linguistica che impedisce al personale medico e dei consultori la comunicazione e soprattutto per il timore degli stessi clandestini a rivolgersi al SSN, la legge non è spesso applicata. Questo rende difficoltoso effettuare controlli sulla popolazione di migranti e non permette di attuare sorveglianza e prevenzione che invece andrebbero effettuate su tutte le persone che giungono su suolo italiano provenienti da paesi a rischio epidemiologico, ovvero senza documentazione che dimostri aggiornamento di vaccinazioni appropriate o in fuga da luoghi ove vi sia il sospetto di contaminazione ( come nel caso di antrace). Il rapporto diffuso il 23 agosto scorso dall’OMS è esplicitamente allarmante circa i rischi sanitari di un futuro ormai attuale: ogni anno compare almeno una nuova malattia contagiosa, con 1100 interventi per episodi epidemici dal 2002, 39 nuovi agenti patogeni temibili dal 1967 a oggi.

A ragione l’ OMS e le varie delegazioni dell’ECDC (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) intervengono sporadicamente al momento di stati di allerta da parte di organismi sanitari europei, come nel recente caso del virus di Chikungunya in Emilia Romagna.
Tuttavia, il rischio di trasmissione di malattie attraverso il vettore della zanzara Tigre ed altri che si dimostrano purtroppo molto “versatili”, la possibilità temibile di modificazione genetica dei vettori stessi e quindi la diffusione di altre malattie ora non trasmissibili, l’assenza di copertura immunitaria in cittadini italiani verso malattie endemiche in altri paesi extracomunitari, la presenza sul territorio di persone senza “storia clinica” documentata, rendono necessari un regolamento ed un comportamento preventivo ed uno stato di ricognizione permanente, nell’ottica che il caso sporadico può non rimanere tale!
L’ampliamento, per le modificazioni climatiche, dell’area di distribuzione dei vettori della malaria potrebbe rendere più facile l’evento.

La febbre Dengue, trasmessa nei paesi caraibici attraverso la zanzara Aedes Aegypti, può essere trasmessa anche dalla zanzara Tigre e dai Culex normalmente presenti sul suolo nazionale…Ricordiamo le malattie infettive di origine tropicale, il “bottone d’oriente”, la peste…del resto anche l’epatite nei vari sottogruppi e l’Aids….Attuali poi la SARS (la Sindrome respiratoria acuta severa) per la quale dal 2003 è divenuto concreto il rischio di una pandemia, la febbre del Nilo occidentale, l’influenza aviaria come altre malattie con il sospetto di una modificazione dell’agente patogeno e quindi a possibile trasmissione interumana, le febbri emorragiche di Marburg e di Ebola, dell’Hantavirus. Alle malattie emergenti si accompagnano le “vecchie”, che si sono riaffacciate in un paese che le aveva praticamente debellate: dal colera alla febbre gialla, alle infezioni epidemiche da meningococchi alla Tbc, così come la lebbra.

Dal 1951, quando furono redatti il primo Rapporto dall’ OMS ed il primo Regolamento per la diffusione internazionale di malattie, le malattie pericolose erano le cosiddette “quarantenarie”(vaiolo, tifo, febbre gialla, peste e colera), erano lontane dall’Italia, in paesi raggiungibili in viaggi di lunga durata per lo più in nave o in treno, gli antibiotici non avevano ancora “incontrato resistenza” e la quarantena veniva rigorosamente applicata.

L’ultimo Rapporto dell’ OMS, invece presagisce minaccioso evento lo squilibrio creatosi inesorabilmente tra l’habitat e l’uomo, tra uomo e mondo animale e batterico, tra popolazioni umane. Evento troppo repentino, inoltre, per permettere l’adeguata conoscenza in merito dell’epifenomeno epidemiologico.

Molte delle suddette malattie sono infatti poco note al personale sanitario non specializzato in patologie infettivologiche tropicali o comunque non endemiche nel nostro territorio.
Riportiamo, per evidenziare meglio il problema, esempi di agenti patogeni e di malattie infettive a trasmissione interumana riconosciuti dal 1973 ad oggi presso la Direzione Generale Prevenzione Sanitaria:

1982 E. coli O157:O7 batterio colite emorragica,
1982 E. coli O157:O7 batterio colite emorragica, sindrome emol-uremica
1982 HTLV-2 virus leucemie a cellule capellute
1982 Borrelia burgdorferi batterio Malattia di Lyme
1983 HIV virus AIDS
1983 Helycobacter pylori batterio ulcera peptica
1985 Enteritozoon bieneusi protozoo diarrea persistente
1986 Ciclospora cayetanensis protozoo diarrea persistente
1988 Herpesvirus -6 virus roseola subitum
1988 virus epatite E virus epatite nAnB a trasmissione enterica
1989 Ehrlichia chaffensis rickettsia Erlichiosi umana
1989 virus epatite C virus epatite a trasmissione parenterale
1991 Guanarito virus febbre emorragica venezuelana
1991 Encephalozitoom Hellem protozoo congiuntivite, malattia sistemica
1991 Babesia (nuove specie) protozoo Babesiosi atipica
1992 V. cholerae non O1 O139 batterio nuovo ceppo di vibrione colerigeno
1993 Sin Nombre virus sindrome da distress respiratorio
1993 Sabià virus febbre emorragica brasiliana
1995 HHV - 8 virus associato a Sarcoma Kaposi in AIDS
1999 Hendra virus encefalite e manif. emorragiche
2003 SARS-Cov Virus SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome)


Progetto - obiettivo

L’Ufficio salute del Dipartimento nazionale Donne “la Destra” propone:

l’attuazione di sorveglianza sanitaria ordinaria secondo norme per ora applicate solo in caso di emergenza di sanità pubblica di rilevanza nazionale, per il controllo di malattie a sorveglianza estrema, in modo da garantire una rapida allerta e l’avvio di un’efficace indagine epidemiologica per scongiurare diffusione di malattie o contaminazione da parte di cittadini extracomunitari e nel contempo effettuare prevenzione nei confronti degli stessi con periodi più o meno brevi di isolamento di legge dalla società.
La durata di tale isolamento dipenderebbe dal tempo strettamente inerente al periodo di incubazione della malattia sospettabile, ai tempi tecnici degli accertamenti diagnostici e delle cure completate.
Del resto,..”…nei casi di cui alla presente legge ( legge 23 dicembre 1978 n. 833 ) e in quelli espressamente previsti da leggi dello Stato, possono essere disposti dall'autorità sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori, secondo l'articolo 32 della Costituzione, nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici…”…e ancora…”…gli accertamenti ed i trattamenti sanitari obbligatori sono attuati dai presidi e servizi sanitari pubblici territoriali…”…

Poiché l’intervento avrebbe lo scopo primario della salute pubblica compresa quella del migrante stesso, non creerebbe davvero problemi riguardanti i diritti civili. Anzi, per il cittadino non italiano e del resto a spese del nostro SSN, sarebbe un servizio di prevenzione e cura. Secondo uno studio di Medici senza Frontiere, effettuato su 700 migranti nel territorio agricolo della Campania, dopo 19 mesi il 93% aveva sviluppato almeno una patologia importante e l’88,6% dei clandestini non aveva mai ricevuto assistenza sanitaria!!!! Rendendo obbligatori gli interventi sanitari preventivi questo non accadrebbe più così facilmente, tutelando anche la salute del migrante stesso.
Inoltre tale atteggiamento rispetterebbe totalmente il testo delle Basi legali per il Regolamento Sanitario Internazionale e i compiti istituzionali della Costituzione dell’OMS che all’Art 21 cita:
“…L’assemblea mondiale della sanità ha l’autorità di adottare regolamenti concernenti richieste sanitarie o quarantenarie ed altre procedure studiate allo scopo di prevenire la diffusione internazionale delle malattie…”

Il cittadino non CE o con anamnesi sospetta anche solo per non avere un’anamnesi certa, giunto al SSN attraverso i canali delle forze dell’ordine o dietro segnalazione del ministero degli esteri o altrimenti, dovrebbe essere posto in osservazione clinica, sottoposto ad accertamenti diagnostici e di laboratorio per il periodo congruo, relativo anche al paese di provenienza e allo stato clinico.
Tale osservazione si attuerebbe, in città, in locali opportunamente adibiti dalle ASL nell’idea di ripristino dei dispensari con personale medico infettivologico in grado di riconoscere e gestire le patologie in oggetto (addestrato alle tecniche di isolamento nell’eventuale necessità). Nel caso di migranti individuati sul suolo italiano alle frontiere, i locali opportuni andrebbero trovati nei centri di prima accoglienza o centri salute già peraltro attivi nel meridione, con upgrade delle misure sanitarie anche ai porti ed aeroporti.
Nei casi sospetti si ricercheranno eventuali contatti, si effettuerà profilassi post espositiva contattando l’ Unità di Crisi del ministero della Salute, secondo regole vigenti.

Si dovrebbero individuare e potenziare poi laboratori di riferimento a livello nazionale.
In realtà, in Italia, laboratori adatti sono numericamente esigui: basti pensare che nel 2003, nel momento di crisi legato al rischio epidemia SARS, l’unico di eccellenza sul suolo italiano era l’INMI ( l’Ospedale Lazzaro Spallanzani di Roma).

Allargare la notifica di legge agli organi dell’OMS, includendo nella denuncia non solo colera, peste, febbre gialla ma tutte le malattie che possono avere urgente rilevanza internazionale, utilizzando anche informazioni provenienti da fonti diverse da quelle ufficiali, permettendo la collaborazione diretta anche dei cittadini.
Nell’estate 2007 un percorso analogo è già stato sperimentato per l’Emergenza Sanitaria (SARS, pandemie cicliche, caldo eccessivo…) attivando il numero verde 1500, dimostrando la validità di un simile intervento.

Poiché compito istituzionale dell’ OMS-WHO è di operare come autorità direttiva e di coordinamento per ciò che concerne la sanità a livello internazionale, assistere i governi, quando lo richiedano, nel migliorare i servizi sanitari, sarebbe congruo ed opportuno, nel disegno di una “Global health security, richiedere ausilio organizzativo ed economico per l’attuazione del progetto da noi proposto.


Barbara Nardacci, responsabile dell’Ufficio salute del Dipartimento nazionale donne




Donne e medicina alternativa nel SSN



Secondo una recente indagine ISTAT, le donne italiane si ammalano di più dell’uomo con e forse proprio per una loro specificità biologica . Basti osservare che per l'8,3 per cento delle donne in Italia si documenta un cattivo stato di salute contro il 5,3 per cento degli uomini, con una prevalenza maggiore, ad esempio, rispetto al sesso maschile, per malattie della tiroide (+ 500 %), artrosi e artrite (+ 49 %), osteoporosi (+ 736 %), cefalea ed emicrania (+ 123 %), depressione e ansietà (+ 138 %). Un tema cui la facoltà di Medicina della II Università di Roma “Tor Vergata” ha dedicato addirittura un master in Medicina di genere, che “…aiuti a formare una nuova leva di professionisti da inserire nel Sistema sanitario nazionale, per riconoscere e valorizzare le differenze e intervenire nella definizione dei trial clinici, che ancora troppo spesso escludono le donne …”, come ha detto il preside della facoltà Renato Lauro, nel corso di un Convegno “Un giorno dedicato alla salute della donna” promosso a Roma dall’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con il Ministero della Salute. – Lo stesso ministro conclude che “…serve che i medici siano formati sulla medicina di genere, con specifici corsi di formazione sulle specificità della salute della donna…”. Interessante è notare che già autonomamente, prevenendo il nuovo atteggiamento della “scienza medica sanitaria,” una buona parte della popolazione femminile sta sperimentando nuove, o meglio antiche, discipline terapeutiche.

Dai dati raccolti dall'Istituto Superiore di Sanità e pubblicati nell'agosto 2001, si evidenzia una crescita di richiesta verso metodi di cura non tradizionali: in particolare per l'agopuntura si stima che circa il 10% della popolazione, per lo più donne, utilizzi regolarmente la metodica. Inoltre, nell’anno passato, la richiesta di informazione e valutazione clinica per eventuali trattamenti di medicina alternativa risulta triplicata rispetto al 2005, trovando però per lo più risposte nell’ambito della “sanità privata” e scarsissima informazione e accesso nella “sanità pubblica”.

Questo gran numero di persone, soprattutto donne, si sta avvicinando ai trattamenti complementari (agopuntura, omeopatia) soprattutto per l’atossicità e i successi del trattamento a confronto con i risultati ottenuti non solo nella terapia di attacco ma anche di mantenimento e di eventuali ricadute delle patologie in oggetto.
Molte donne, particolarmente a cuore a noi come Dipartimento nazionale donne, che entrano in quel particolare stato fisiologico che è la menopausa, stanno iniziando ad avvicinarsi all’Agopuntura per controllare quel corredo di sintomi fastidiosi e a volte pericolosi come le sindromi dolorose farmaco-resistenti, le fratture patologiche per osteoporosi e gli stati depressivi anche gravi, oltre alla sindrome climaterica stessa.
La riduzione dei sintomi arriva ad oltre il 70% in alcune casistiche del nord Italia, dove l'esperienza più consolidata è quella di Torino, prima città italiana ad aver attivato un Sevizio di Agopuntura in Ostetricia e Ginecologia.
Pertanto, possiamo concludere con certezza che, un approccio complementare alla menopausa ha effetti positivi sul contenimento del corredo sintomatologico connesso a tale stato modificativo della donna matura : è indicato prioritariamente nelle donne con anamnesi positiva per patologie tumorali, priva di effetti collaterali.

Questo va considerato come un ottimo risultato, vista anche la complessità delle sindromi da trattare ed in considerazione del fatto che la terapia sostitutiva ormonale può avere effetti collaterali gravi, soprattutto dal punto di vista oncologico, oltre al fatto di essere molto costosa, gravando sul SSN anche per i controlli assidui ematologici e clinici ai quali le pazienti si devono sottoporre.

Un importante aspetto, infatti, soprattutto in questo momento, è quello riguardante l’economia sanitaria.

Ci basterà fare riferimento al NICE (National Institute for Health and Clinical Excellence), l’organismo indipendente del SSN britannico, che studia la compatibilità economica tra un trattamento e l’efficacia clinica dello stesso: il NICE individua il trattamento agopunturistico nel range ottimale, dimostrando così che l’agopuntura, oltre al buon risultato clinico ottiene un risultato economico da evidenziare.

In Italia, solo alcune regioni stanno attuando sporadicamente e parzialmente progetti di inserimento di tale disciplina medica nel SSN, peraltro poco pubblicizzati, soprattutto negli indirizzi specifici e nei costi ridotti che porterebbe le donne a preferirla alla terapia tradizionale occidentali con risultati più che soddisfacenti.
Sarebbe vincente, invece, che, almeno ogni grande città, avesse attivo un servizio in ogni distretto che non richiederebbe in realtà che un ambulatorio semplice, senza necessità di laboratori o servizi clinici particolari , con spese di materiali davvero esigue!!!

Un percorso di collaborazione tra medicine convenzionali e non convenzionali, all'interno dei servizi della ASL, è inoltre osservante i suggerimenti dell'OMS che in varie occasioni raccomanda di approfondire la scienza tradizionale.

Il Progetto proposto dall’Ufficio salute del Dipartimento nazionale donne de “la Destra” si delinea come la creazione di un servizio di prezioso supporto ad una migliore qualità di vita delle pazienti con problemi anche severi di salute, peraltro estendibile a tutta la popolazione.

Progetto - obiettivo:

Inserire in ogni ASL, a livello distrettuale, un ambulatorio di Agopuntura, con riferimenti terapeutici specifici (porremmo, inizialmente particolare riguardo alla Menopausa, Osteoporosi e Patologia degenerativa del rachide, Prevenzione) ed associato con servizio di omeopatia fisso o anche in forma di consulenza.

Sensibilizzare i medici di base a farsi parte attiva, sia a livello di informazione scientifica sull’argomento che a livello di informazione logistica (effettuare accurato screening delle pazienti a rischio che se ne gioverebbero,fornire dati sull’efficacia del trattamento così su come trovare l’ambulatorio più vicino…), per rendere facilmente fruibile il servizio.

Attivare la collaborazione con ambulatori di altre specialità dell’ASL di appartenenza (nello stesso ospedale o nello stesso distretto), per l’interdipendenza diagnostica e clinica delle varie patologie. Infatti, purtroppo, la maggior parte dei medici specialisti in varie discipline, sia mediche sia soprattutto chirurgiche, ancora si pone con scetticismo o comunque con scarso interesse, nei confronti della medicina non tradizionale.
Ciò comporta un’assenza reale, da parte di questi medici, di volontà e di capacità di valutare al meglio i casi idonei al trattamento alternativo, e indirizzarli, poi, ad un ambulatorio di agopuntura ed omeopatia, invece di assumere sin dall’approccio un atteggiamento farmacologico o addirittura chirurgico, a scapito del paziente e del SSN.

Promuovere iniziative sociali distrettuali (simposi, convegni…) atte a pubblicizzare la validità scientifico-clinico della medicina alternativa e l’attività del SSN in merito

Intervento:
Nella regione Lazio, come intervento pilota, il Dipartimento nazionale donne ha già ricevuto entusiastica adesione a tale progetto ed è pronta a partire con un pool di medici agopuntori ed omeopati iscritti regolarmente ai corrispettivi albi, nonché di specialisti in varie discipline, già attivi nel SSN presso ambulatori distrettuali ASL oppure ad ospedali, che si affiancherebbe ai servizi del tutto esigui ed isolati, già presenti nel solo territorio di Roma.


Barbara Nardacci, responsabile dell’Ufficio salute del Dipartimento nazionale donne

(il Dipartimento nazionale donne e il Dipartimento rete del sociale, istituiranno un tavolo permanente interdipartimentale al quale parteciperanno tutte le categorie interessate)


Pronto salute? Pronta risposta!
Un numero per i quesiti degli utenti del SSN



La Regione Lazio, nel quinquennio 2000-2005, attivava il servizio del C.U.P., ovvero della possibilità di inserimento nelle liste di attesa per visite, accertamenti e ricoveri, per via telefonica, permettendo automaticamente ai nominativi dei vari utenti di comparire nell’elenco richiesto prima possibile, compatibilmente con i servizi. Grande risorsa del SSN, ora anche attuabile su rete di telefonia mobile, che però non risponde all’esigenza di dover supplire spesso al sovraccarico di una domanda superflua, mal coordinata o ritardataria. Gli stessi medici di base si appoggiano necessariamente a tale servizio una volta effettuata la prescrizione ai propri pazienti, inserendoli inesorabilmente nelle liste solo per avere, magari dopo mesi, una semplice risposta dallo specialista opportuno. Inoltre accade spesso che gli stessi utenti, senza consultare prima professionisti della sanità, nella moda dell’autogestione enciclopedica o meglio di web, richiedano visite o accertamenti non idonei, perdendo a volte anche tempo prezioso.

Progetto- obiettivo dell’Ufficio Salute del Dipartimento nazionale Donne de “la Destra”:

Istituire un servizio di pronta informazione medica polispecialistica, coordinato da un operatore, individuabile in un medico generico del territorio, raggiungibile attraverso un numero verde.
Tale figura dovrebbe avere a disposizione un pool di medici, specialisti nelle varie discipline, prestanti servizio in ospedali o ambulatori dei distretti ASL, da poter interpellare e poter mettere in contatto con l’utente di volta in volta interessato.

L’intervento potrebbe essere svolto anche semplicemente con reperibilità telefonica, a turnazione, del personale suddetto , operativo nel distretto di zona dell’utente. Si avrebbe così anche la possibilità di impiegare personale medico, dirigente e non, in modo interattivo e gratificante per gli stessi operatori, a volte eccessivamente e tristemente “burocratizzati”ed invischiati nella ragnatela dei servizi territoriali .

Questo servizio non verrebbe a sovrapporsi, ma, in realtà, completerebbe le capacità delle varie ASL, riducendo nettamente le liste di attesa per visite inutili perché inappropriate o evitabili, con pronte risposte ai quesiti fornite da specialisti, pilotando invece, fin dall’inizio, informazioni ed accertamenti idonei, consigli ed istruzioni, ottimizzando i tempi così come le spese del SSN nell’ambito dei servizi ambulatoriali e dell’informazione medico-scientifica.

La proposta del Dipartimento nazionale donne è di trasporre al servizio della salute pubblica l’iniziativa di Roma, dove il Comune ha istituito, con successo, un numero telefonico, lo 060606, attraverso il quale si accede non ad una voce elettronica, ma ad una persona interagente con banche dati le più disparate, spesso in grado di assolvere a funzioni logistiche, informative e burocratiche in modo semplice e veloce, chiarendo dubbi a volte “schiaccianti” e rendendo piane difficoltà impervie per cittadini anziani o inesperti.


Barbara Nardacci, responsabile dell’Ufficio salute del Dipartimento nazionale donne









Orientamento giovanile
Una proposta concreta per colmare il profondo divario “scuola-lavoro”




E’ sempre più evidente ed ormai parere comune, che la scuola italiana è ancora troppo limitata ad un insegnamento teorico che non offre agli studenti una visione dello scenario lavorativo, il che porta, come immediata conseguenza, ad un’alta percentuale di abbandono degli studi da parte dei giovani e successivamente al forte rischio di scelte errate del percorso universitario da intraprendere.

La prima iniziativa che il Dipartimento Donne propone, quindi, per quanto riguarda l’Ufficio Orientamento, è mossa dal desiderio di offrire ai giovani, già durante il ciclo di studi delle scuole medie superiori, delle informazioni e delle esperienze che diano loro maggiore motivazione allo studio e maggior cognizione e consapevolezza nella scelta di quello che sarà il loro futuro universitario e lavorativo.

In Italia, una prima importante decisione viene presa già al termine della scuola media di 1° grado, dovendo scegliere tra percorso di istruzione e formazione professionale o liceo.
Questa prima scelta si basa generalmente su una prima valutazione da parte dei genitori dello studente o dei suoi insegnati delle sue attitudini verso uno studio assolutamente teorico piuttosto che verso uno studio che abbia una maggiore componente “pratica”; non è questa, pertanto, una scelta cosciente del ragazzo, che, forse, non sarebbe ancora completamente in grado di affrontare da solo tale situazione.

Un secondo bivio, ancor più critico e decisivo, è quello che lo studente si trova dinanzi al termine della scuola secondaria di 2° grado: continuare o meno gli studi iscrivendosi all’Università ed in tal caso, a quale facoltà universitaria, oppure entrare a far parte del mondo del lavoro.

Sono già in essere iniziative assolutamente interessanti quali “La Giornata Nazionale dell’Orientamento Orientagiovani”, una collaborazione tra il Ministero della Pubblica istruzione e CONFINDUSTRIA, o l’area dello studente presente sul portale del Ministero della Pubblica istruzione, così come in numerose Università, oppure iniziative autonome delle singole Amministrazioni Locali.

Tali iniziative hanno però carattere collegiale e non permettono un’analisi ed una scelta del percorso da seguire, ai fini lavorativi, ritagliate sulle effettive attitudini ed aspettative del singolo ragazzo.

Un buona iniziativa è la metodologia IFS - Imprese Formative Simulate, collegate in rete tra loro tramite Internet e sostenute da centrali di simulazione che consentono alle aziende virtuali di simulare tutte le azioni di aree specifiche di qualsiasi attività imprenditoriale ed alle scuole di accedere a tali strumenti di informazione/simulazione. Se questa iniziativa è sicuramente un valido esempio di come si stia tentando di integrare la scuola col lavoro, resta però il limite derivato da tutto ciò che viene svolto e conosciuto unicamente in modalità virtuale.

Non è poi comunque garantito che a tali iniziative partecipino tutti gli studenti, di tutte le scuole italiane e che il loro l’effettivo grado di partecipazione e di apprendimento sia quello atteso e necessario per consentire agli stessi di acquisire gli strumenti necessari per una scelta così importante.

Alla fine, accade quasi sempre che la decisione dello studente sul continuare o meno gli studi e su quale indirizzo universitario prendere, rimanga legata alle aspettative dei genitori, alla sua forse errata e sicuramente molto limitata conoscenza del mondo lavorativo o, semplicemente, alle scelte operate da altri amici e compagni di studio.

E’ importante ricordare che, oltre alla predisposizione dello studente ad un determinato studio o lavoro, è di grande rilievo l’interesse e il “piacere” con i quali egli vi si accosta. E’ noto e provato che se mancano piacere ed interesse, ma esiste solo l’ “obbligo” quale sprone allo studio, è difficile che lo studente riesca a portare a termine il percorso intrapreso, in quanto la riuscita è legata unicamente ad una forte volontà individuale.

Già altri paesi europei quali la Germania ma ancora più la Francia, hanno compreso l’importanza che ha l’aiutare i giovani a conoscere il mondo del lavoro e il supportarli correttamente ed obiettivamente nella scelta del percorso formativo.

In Francia, ad esempio, tutti gli studenti, già a partire dal penultimo anno di scuola media inferiore, fanno uno stage della durata di una settimana presso un’azienda e questo rapporto scuola-impresa si intensifica maggiormente negli anni di studio successivi.
Vi sono poi altre strutture extra-scolastiche quali le PAIO (Permanence d’Accueil Information et Orientation) in essere sin dal 1982, aperte ai giovani dai 16 ai 18 anni, che perseguono lo scopo di aiutarli nell’ inserimento sociale e lavorativo, anche attraverso incontri d’informazione ed orientamento.

Alla luce di quanto esposto, il Dipartimento nazionale donne propone che venga inserita tra le attività scolastiche obbligatorie del penultimo anno di studi delle scuole medie superiori, una serie di incontri approfonditi tra lo studente e una persona che fungerà da tutor, scelta e formata tra il corpo docente dell’istituto frequentato dal giovane o, ancor meglio, proveniente dall’esterno a maggiore garanzia dell’obiettività dell’analisi da effettuare.
Queste serie d’ incontri dovranno avere lo scopo di individuare e valutare sia le reali attitudini dello studente che le varie possibilità lavorative. Tale attività, andrebbe completata entro i primi tre mesi dall’inizio delle attività didattiche.

Una volta individuati gli indirizzi di studi universitari che più rispondono alle aspettative e alle concrete attitudini degli studenti, rapportate sempre alle dinamiche del mercato lavorativo, la direzione didattica dei vari istituti scolastici dovrà istituire un rapporto di collaborazione con le aziende, le associazioni, le istituzioni le quali dovranno consentire agli studenti di partecipare, almeno per una settimana, alla propria attività al fine di fornire agli studenti una diretta e reale esperienza nel campo prescelto.

Al termine dell’esperienza lavorativa, è importante che vi sia una incontro tra colui che ha seguito lo studente all’ interno dell’ azienda/istituzione presso cui si è svolto lo stage, il tutor e lo studente stesso, per una condivisione dell’esperienza acquisita e per dirimere le eventuali ulteriori problematiche legate all’esperienza medesima.

All’inizio dell’ultimo anno di scuola media superiore, dovranno essere organizzate per ogni singola classe delle riunioni, secondo un calendario predisposto dal collegio docente, nelle quali gli studenti e i loro tutor riferiranno sulle esperienze lavorative vissute per trasmetterne la conoscenza ai compagni di classe e poter quindi consentire a più persone di affrontare una scelta responsabile sull’indirizzo universitario da seguire.

Gli studenti stileranno infine un documento, che resterà anonimo, sull’esperienza maturata. Detto documento verrà conservato nell’archivio dell’istituto e costituirà una solida base d’informazione sul processo di orientamento lavorativo per gli studenti degli anni successivi.



Manuela Marà, responsabile dell’Ufficio orientamento del Dipartimento nazionale donne









Campagna informativa sulla partecipazione della donna
( gender dimension ) in Europa

L'Unione europea stabilisce il principio in base al quale la parità fra le donne e gli uomini (“gender perspective”) deve essere sistematicamente presa in considerazione in tutte le politiche e in tutte le azioni comunitarie, fin dal momento della loro concezione e in maniera attiva e visibile. Secondo il principio del “gender mainstreaming” precisato negli art 2. e 3. del Trattato di Amsterdam, la prospettiva di genere sarebbe dovuta essere integrata completamente nella proposta della Commissione. Per affermare e garantire l’uguaglianza di genere è necessario l’inserimento di azioni e politiche volte a promuovere l’uguaglianza tra uomini e donne nell’intera Strategia
Con lo scopo di far progredire il programma sulla parità fra le donne e gli uomini, per il periodo 2006/2010 è stata istituita una “ tabella di marcia” la quale si presenta come seguito della strategia quadro per la parità fra le donne e gli uomini, per il periodo 2001-2005. La tabella di marcia individua sei settori prioritari e per ciascuno di essi alcuni obiettivi e azioni chiave per facilitarne la realizzazione. Essa sarà seguita da una relazione intermedia nel 2008 e da una valutazione accompagnata da una proposta di sviluppo nel 2010.
La tabella di marcia definisce alcuni settori esistenti e propone settori di intervento interamente nuovi. Complessivamente vengono considerati sei settori prioritari. Tra gli obiettivi primari si sottolineano i seguenti:
La conciliazione della vita privata e professionale
Le condizioni di lavoro elastiche presentano molti vantaggi. Peraltro, il fatto che per lo più siano le donne a utilizzare tali disposizioni, determina un impatto negativo sulla loro posizione sul luogo di lavoro e sulla loro indipendenza economica.
Il declino demografico in corso non consente alla UE alcuno spreco di capitale umano. Così, migliori strutture per la sorveglianza dei bambini possono consentire di realizzare un nuovo equilibrio fra il lavoro e la vita privata.
Pochi uomini prendono un congedo parentale o lavorano a tempo parziale. Dovrebbero pertanto essere adottate misure volte ad esortarli ad assumere maggiori responsabilità familiari.
Una rappresentanza uguale nell'assunzione delle decisioni
La minore rappresentanza persistente delle donne nella società civile, nella vita politica e nell'alta amministrazione pubblica, rappresenta un "deficit" democratico.
Una partecipazione equilibrata può contribuire ad una cultura del lavoro più produttiva ed innovatrice. È essenziale a tal fine la trasparenza nei processi di promozione.
Raggiungere l'obiettivo stabilito dagli Stati membri, 25 % di donne nei posti di responsabilità nella ricerca pubblica, può migliorare l'innovazione, la qualità e la competitività della ricerca.
L'eliminazione di ogni forma di violenza basata sul genere
Pratiche quali la mutilazione genitale femminile o i matrimoni precoci e forzati costituiscono violazioni del diritto fondamentale alla vita, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità e all'integrità fisica ed emotiva.
Per combattere la "tratta" delle donne, la Commissione suggerisce di criminalizzare tale traffico tramite una normativa adeguata, scoraggiando nel contempo la domanda di esseri umani per sfruttamento sessuale. La nuova direttiva sui permessi di soggiorno per le vittime della "tratta" rappresenterà uno strumento utile per il loro reinserimento nel mercato del lavoro.
L'eliminazione degli stereotipi legati al genere
Nell'insegnamento e nella cultura i giovani dovrebbero essere incoraggiati ad orientarsi verso studi non tradizionali, anche per evitare che le donne finiscano nelle professioni meno valorizzate e meno retribuite.
Sul mercato del lavoro le donne continuano a dover far fronte ad una segregazione al tempo stesso orizzontale e verticale. Esse restano impiegate in settori meno valorizzati e occupano generalmente livelli inferiori nella gerarchia.
In Europa, ad ogni politica corrisponde uno strumento finanziario di riferimento, vediamo ora quali sono gli strumenti a supporto delle politiche femminili europee. Per la programmazione economica fino al 2013 troviamo:
- I Fondi strutturali : sono il più importante strumento finanziario a supporto della politica di coesione economica e sociale, ovvero la politica fondante dell’intero “sistema Europa” dopo il mercato comune. Gli stanziamenti sono ingenti, sebbene vengano divisi a livello Regionale ( in Europa si preferisce parlare di Regioni anziché di Stati) . Va sottolineato che per anni l’Italia non è stata in grado di spendere le risorse economiche che provenivano dall’UE (soldi dei contribuenti NB) che puntualmente tornavano alla Commissione europea ( regola dei disimpegno automatico) che li ridistribuiva agli Stati “più bravi”. In particolare, si identifica il FES come strumento principale, ma ogni strumento relativo ai fondi strutturali ha in asse riferimenti alle politiche di supporto al gender dimension
- L'iniziativa comunitaria EQUAL mira a promuovere nuovi strumenti per lottare contro le discriminazioni e le diseguaglianze di ogni tipo sul mercato del lavoro in un contesto di cooperazione nazionale, che vengono attuate nei Piani d'azione nazionali le linee di orientamento per l'occupazione e che si basano su quattro punti:
la capacità d'inserimento professionale; lo spirito d'impresa; la capacità di adattamento; la parità di opportunità.
- Il programma PROGRESS si prefigge di fornire un aiuto finanziario all'attuazione degli obiettivi dell'Unione europea nel settore dell'occupazione e degli affari sociali. Esso contribuisce pertanto alla realizzazione degli obiettivi della strategia di Lisbona. Le attività di analisi e di apprendimento reciproco, le attività di sensibilizzazione e di diffusione, nonché l'aiuto agli operatori principali vengono finanziati tramite PROGRESS che dispone di un bilancio pari a 743 milioni di euro per il periodo 2007-2013. Il programma si articolerà in cinque sezioni distinte corrispondenti ai cinque grandi settori di attività: l'occupazione, la protezione e l'inserimento sociale, le condizioni di lavoro, la lotta contro la discriminazione e la diversità, nonché l'uguaglianza fra donne e uomini.
Come possiamo prendere parte, concretamente ai programmi dell’Unione Europea?
Il Dipartimento nazionale donne propone due soluzioni:
- la prima passa attraverso un percorso di lobby, sia attraverso con uno stretto coordinamento del Dipartimento donne e i nostri rappresentanti a Bruxelles, sia attraverso i la partecipazione alle azioni portate avanti dalle associazioni femminili a difesa della donna – sia nazionali che comunitarie- come ad esempio L’European Women’s Lobby (EWL) che è il più grande organismo tra le organizzazioni non governative nazionali ed europee che si occupano delle donne. Tra i suoi membri ci sono più di 4000 associazioni appartenenti ai 27 Stati Membri della UE. Il suo obiettivo è l’uguaglianza di genere in Europa e agisce in qualità di connettore tra i responsabili delle decisioni politiche e le organizzazioni europee che si occupano delle donne. Un altro importante passo avanti è stato fatto recentemente con la creazione dell’ Istituto europeo per l'uguaglianza di genere. Creato il 20 dicembre 2006, l' Istituto europeo per l'uguaglianza di genere avrà il compito di aiutare le istituzioni europee e gli Stati membri a promuovere l'uguaglianza tra uomini e donne in tutte le politiche comunitarie e nelle relative politiche nazionali e a lottare contro la discriminazione fondata sul sesso. L'Istituto persegue anche una maggior sensibilizzazione dei cittadini europei in merito all'uguaglianza di genere. L'Istituto dovrebbe essere operativo entro il 19 gennaio 2008;
- la seconda, forse di più difficile attuazione è la partecipazione a programmi comunitari relativi al potenziamento del gender dimension attraverso progetti che coinvolgano le associazioni a noi vicine (regionali, locali). Difficilmente un dipartimento politico può partecipare a progetti finanziati dall’UE, ma a ciò esiste un rimedio molto semplice che è quello di creare un’associazione apolitica, o “sfruttare” quelle che già esistono all’interno del Nostro Partito.

Nell’un caso o nell’altro si rende necessaria una campagna informativa chiara, puntuale e costante.
PRINCIPALI ATTI COLLEGATI :
- Direttiva 2006/54/CE del Parlamento e del Consiglio, del 5 luglio 2006, relativa all'attuazione del principio di parità di opportunità e di parità di trattamento fra donne e uomini in materia di occupazione e di lavoro.
- Direttiva 2004/113/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004, che applica il principio della parità di trattamento tra donne e uomini nell'accesso ai beni e servizi e nella fornitura di beni e servizi. Data limite di trasposizione negli Stati membri 21.12.2007.
- Regolamento (CE) n. 1922/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, che costituisce un Istituto europeo per l'uguaglianza di genere [Gazzetta Ufficiale L 403 del 30.12.2006].
- Comunicazione della Commissione agli Stati membri, del 13.04.2000, che stabilisce le linee di orientamento dell'iniziativa comunitaria EQUAL riguardante la cooperazione transnazionale per la promozione di nuovi mezzi per lottare contro le discriminazioni e le diseguaglianze in relazione con il mercato del lavoro [C(2000)853 - Gazzetta Ufficiale C127 del 05.05.2000].
- Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Una tabella di marcia per la parità fra le donne e gli uomini 2006-2010 [COM(2006) 92 def. - Non pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale].
- Decisione n. 1672/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 2006, che stabilisce un programma comunitario per l'occupazione e la solidarietà sociale - PROGRESS [Gazzetta Ufficiale L 315 del 15.11.2006].
- Direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, che modifica la direttiva 76/207/CEE del Consiglio relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro.

Georgia Alcis, responsabile dell’Ufficio politiche comunitarie del Dipartimento nazionale donne

Traccia per la realizzazione di un centro giovanile polifunzionale


Ci troviamo ad attraversare un periodo in cui tra i giovani si avverte una sorta di rassegnazione, di attesa passiva. C’è aria di immobilismo, di stallo. Ci si muove in direzioni senza concreti sbocchi, in uno stato di confusione paralizzata e paralizzante. Mancano i punti di riferimento, le certezze, le speranze, o anche solo il sogno di una illusione.
Gli eroi sembrano essere tutti negativi. I ragazzi di oggi sono allo sbando, privi spesso del giusto supporto familiare e delle istituzioni scolastiche e sociali: ostaggi delle tecnologie di comunicazione, delle proposte di tendenza, della cultura nozionistica e della discoteca e di quanto altro sia “da sballo”. E poi la vita di strada : droga, auto e moto magari di grossa cilindrata, il miraggio del tutto facile e senza fatica. Ma, sono e vogliono essere veramente così i giovani? Forse no, ma quali sono i motivi?

Ci troviamo davanti ad una situazione frutto di errori, di scelte sbagliate, di mancanze, di una società che non ha saputo offrire altro. Valori fondamentali quali famiglia, solidarietà, senso civico, educazione, rispetto, sono stati, dalle generazioni passate fino a quelle di oggi, via via messi da parte a volte calpestati e di essi è rimasto ben poco.
Ecco allora che nasce il desiderio di riscoprire questi “vecchi” principi di vita: la voglia di proporli alle giovani generazioni in una chiave nuova, apprezzabile e comunque forte, capace di risvegliarsi dal torpore restituendo altra energia, forza positiva, per affrontare il futuro cercando di renderlo migliore del nostro presente.

Gli obiettivi e le finalità di questo progetto, attraverso la promozione dei diritti e le opportunità dei giovani e potenziando le risorse anche in ambito familiare, pubblico e privato sul territorio di appartenenza, sono:
Realizzare un efficace intervento di recupero e affermazione dei valori
Motivare l’interesse culturale e sociale dei giovani, anche attraverso un utilizzo adeguato del tempo libero
Sviluppare le capacità relazionali del singolo all’interno di un gruppo, valorizzandone e positivizzandone la “personalità sociale”
Programmare ed avviare percorsi di informazione e formazione in funzione anche di un inserimento nel mondo del lavoro.

L’Ufficio politiche giovanili del Dipartimento nazionale donne, propone la creazione di spazi di socializzazione, confronto e condivisione di esperienze, gruppi di attività per ragazzi a partire dall’età della fine dell’obbligo scolastico. In una sede adeguata, come può essere ad esempio una ex scuola o un edificio pubblico dismesso, tramite l’allestimento di un centro polifunzionale per l’informazione e per la formazione giovanile. Per la riuscita del progetto è fondamentale la presenza attiva di figure professionali appartenenti alla terza e quarta età. Infatti, la trasmissione dell’esperienza di lavoro e di vita dal “vecchio” al “nuovo” è un elemento di primaria importanza per il raggiungimento di uno dei nostri obiettivi: recuperare ed affermare quei valori perduti, dimenticati o soltanto affievoliti.

Inoltre, cosa non poco rilevante, il coinvolgimento di persone anziane avrebbe lo scopo di restituire vita, forza e valore ad una fascia sociale che sempre più tende ad essere considerata un inutile e pesante fardello.
Il centro giovanile polivalente può dividersi in tre settori:
INFORMATIVO - FORMATIVO – REALIZZATIVO –

SETTORE INFORMATIVO

In questa area si vuole proporre ai giovani la possibilità di ricevere delle notizie relative ad argomenti di vario interesse, sia sottoforma di corsi che mediante incontri e momenti di confronto individuali o di gruppo.
In dettaglio si propongono:
Corsi di educazione e comportamento stradale, con particolare attenzione verso le tematiche legate al “sabato sera” (discoteca, alcool, droghe, velocità) con la collaborazione di supporti visivi, dibattiti, incontri con esperti ecc.
Corsi di educazione alimentare, ove verranno trattati dei temi come anoressia e bulimia e date indicazioni per un corretto rapporto con il cibo, con interventi di medici, psicologi, sociologi.
Corso di primo soccorso ed igiene ambientale e della persona in quanto una conoscenza di tali argomenti è importante in una società in cui sono presenti e in aumento persone affette da patologie invalidanti, non sempre o non sempre opportunamente seguite dall’assistenza pubblica. Inoltre, si tratterrà anche del come affrontare le situazioni del quotidiano che necessitano di piccoli, ma importanti comportamenti ed interventi. Particolare riguardo verrà dato ad argomenti sulla prevenzione.
Ascolto e sostegno socio – medico con la partecipazione di professionisti del settore. In questo modo i ragazzi potranno trovare una mano tesa per cercare di affrontare e risolvere i temi e problemi diversi.

SETTORE FORMATIVO

In questa area sono previsti dei laboratori, gestiti da professionisti ed esperti, dove i giovani potranno cimentarsi con arti e mestieri, imparando e mettendo in pratica le tecniche base. Questi laboratori avranno il loro punto di forza nell’apporto esperienziale di “vecchi maestri” . Si potranno svolgere laboratori di:
- Sartoria, taglio e cucito, lavoro a maglia, ricamo….attività che ricordano le nonne e che si vogliono riscoprire, non solo come cosa da fare nel tempo libero, ma anche per offrire una base di conoscenza che permetta di risparmiare denaro, magari guadagnandone, svolgendo dei piccoli lavori.
- Calzoleria. Sempre più raro è trovare oggi una bottega di calzolaio, ormai superata dall’industria che non riesce però ad esprimere la qualità, la classe e la raffinatezza di un artigiano. Il fare una scarpa è un’arte che ha contribuito ad esportare il marchio italiano nel mondo e che merita di essere riscoperta e rivalutata offrendo ai giovani l’opportunità di imparare questo antico mestiere.
- Rilegatoria. La tecnologia ha tolto qualcosa a questa antica arte fatta di pazienza, di precisione e cura dei particolari e del bello. Certamente interessante può essere per i giovani avvicinarsi e scoprire un mestiere affascinante.
- Tappezzeria. Un’attività ancora attuale che può offrire svariate possibilità di lavoro a vari livelli.
Inoltre, si proporranno laboratori di idraulica, parrucchiere, decoupage, ceramica, corsi base di uso del personal computer ed altre eventuali attività.
I laboratori artigiani verranno completati con un periodo di tirocinio presso strutture già operanti.
In definitiva, ciò che ci si propone è, da un lato, togliere i ragazzi dalla strada offrendo loro una valida e motivata alternativa e dall’altro lato, cercare di indirizzarli verso attività che possano trasformarsi in occasioni occupazionali.

SETTORE REALIZZATIVO

All’interno di questo settore sono previsti:

- L’allestimento di esposizioni dove i giovani potranno mostrare quanto realizzato nei laboratori.
- Organizzazione di giornate di raccolta vestiario, alimenti ed altro a favore di centri prescelti e preventivamente contattati. Saranno i ragazzi ad occuparsi sia della raccolta che della consegna.
- Opera di volontariato per pulizia aree verdi del proprio territorio.
- Organizzazione di concorsi vari: poesia, pittura, fotografia musica ecc…
- Organizzazione di spazi ricreativi con punti di ristoro, giochi popolari, animazione.
- Realizzazione e diffusione di un periodico a carattere informativo delle iniziative programmate e di quelle portate a termine dal centro.


Patrizia Passerini, responsabile dell’Ufficio politiche giovanili del Dipartimento nazionale donne

Primo intervento per un neonato: la culla termica



Il nostro ordinamento giuridico garantisce il diritto alla procreazione responsabile e tutela la maternità con la legge 22/5/1974 n. 194.
Il neonato è, da subito, riconosciuto come persona e ne ha quindi tutti i diritti che ne derivano (nome, cittadinanza, educazione) secondo la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo 20/11/1989 - ratificata in Italia con legge 27/5/1991 n. 176 - ed ha, soprattutto , il diritto ad una crescita armoniosa, serena e ove possibile, all’interno di un nucleo familiare (legge 4/5/1983 n. 184 e segg.).
La donna che non vuole riconoscere il bambino è anch’essa, tutelata dalla legge che garantisce l’eventuale volontà della madre di non essere identificata (art. 30 comma, 2 del DPR del 3/11/2000).
Malgrado ciò, continuiamo ad assistere ad episodi di abbandono di minore e addirittura di infanticidio.

L’abbandono del bambino avviene, nella maggior parte dei casi, in luoghi poco accoglienti sia dal punto di vista sanitario, che da quello della sicurezza e non è sempre concretizzabile un felice ritrovamento. Alcune associazioni, infatti, si sono operate per il ripristino delle cosiddette “ruote degli innocenti” presso ambienti protetti e privi di pericoli. La “ruota degli innocenti” altro non è che una culla riscaldata, posizionata generalmente davanti all’ospedale, ma non perfettamente visibile per garantire l’anonimato della madre e collegata alla struttura ospedaliera tramite un sistema di allarme in grado di avvisare il personale specializzato dell’arrivo del neonato.
Già in Austria, Germania, Svizzera, Svezia, Danimarca e Romania, è stato attivato il sistema della culla termica nelle pareti esterne degli ospedali ed in Italia le culle funzionanti sono a Padova, Civitavecchia, Finale Ligure, Casale Monferrato, Roma, Firenze, Aosta e a Palermo.

Il Dipartimento nazionale donne propone di:

Dotare gli ospedali, che ne facciano richiesta, della culla termica
Intensificare la campagna di informazione per far conoscere a tutte quelle donne emarginate, povere ed escluse dai canali di comunicazione, le procedure del parto anonimo negli ospedali.
Organizzare, anche attraverso le associazioni straniere presenti nel nostro Paese, una informazione capillare sulla possibilità di uso della culla termica, soprattutto per ” le donne clandestine” che non conoscono la legge italiana e che non sono certe delle garanzie che gli ospedali potrebbero loro offrire.
Attivare attraverso il Servizio sanitario nazionale, di concerto con il Ministero della pubblica istruzione, una campagna informativa per le donne minorenni che si trovino a dovere gestire un evento difficile come la maternità ed il conseguente parto.
Attivare sul territorio un sistema integrato di servizi con la collaborazione di diverse figure professionali come assistenti sociali, educatori, pediatri, avvocati, psicologi.


Simonetta Tema, responsabile dell’Ufficio sicurezza e solidarietà del Dipartimento nazionale donne













Gli anziani al servizio dei giovani


Dobbiamo prendere atto che, grazie alla migliore qualità della vita e alla ricerca scientifica, la vita media si è allungata e di conseguenza, dobbiamo rapportarci con una popolazione sempre più anziana. Donne e uomini che escono dal circuito lavorativo molto presto, se si considera che si va in pensione intorno ai 60/65 anni e che l’aspettativa della durata della vita è tra gli 80 e 85 anni. Gli anziani si ritrovano, quindi, dopo una vita passata in piena attività, ad avere lunghe giornate vuote ed inutili. Chi ha avuto la fortuna di crearsi delle attività o dei passatempi alternativi, vive il momento della pensione come uno stato naturale e piacevole della vita, chi , invece, arriva impreparato, cade inevitabilmente in uno stato depressivo, anche a volte coinvolgendo, le persone che gli ruotano intorno.

Le alternative più scontate ed ovvie sono i classici centri ricreativi, dove gli anziani vengono coinvolti in numerose attività ludiche ma dove non tutti sono psicologicamente predisposti a trascorrere il loro tempo perché considerano questi punti di incontro “leggeri” o, più semplicemente, non ne conoscono proprio l’esistenza.
Invece, in un'altra sfera della nostra vita sociale esiste il problema dei giovani che hanno grande difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro.
Perché allora non fare incontrare questi due mondi tanto anagraficamente diversi?

Il Dipartimento nazionale donne propone:

· Avviare nei centri dedicati agli anziani uno sportello dove questi ultimi potrebbero mettere a disposizione la loro esperienza lavorativa ed i giovani chiedere “un aiuto orientativo”. Gli anziani potrebbero fare quasi da “tutor”
· Predisporre una campagna informativa presso gli uffici pubblici territoriali (municipi, scuole, nelle parrocchie) ove lo sportello potrebbe essere gestito dallo stesso centro anziani con personale volontario.

Simonetta Tema, responsabile dell’Ufficio sicurezza e solidarietà del Dipartimento nazionale donne
Istituzione dei C.O.I.S.
Servizi per la tutela dei minori

Premessa
Il problema dell’abuso sui minori, secondo recenti rilevazioni statistiche, dati ISTAT, investe in modo spesso drammatico il nostro territorio.
Per tale ragione è necessario promuovere progetti che favoriscano sinergie tra le istituzioni per dare una risposta forte alla problematica.

Ente proponente
Il Comune attiva le diverse competenze istituzionali, a vario titolo interessate, adottando un protocollo d’intesa tra le parti.

I C.O.I.S.
I Centri Operativi Interistituzionali Scolastici si attivano in seguito alle direttive delle istituzioni di competenza:


AUSL

Servizio di Neuropsichiatria infantile
1 Neuropsichiatra
infantile e
1 psicologo con competenze specifiche
COMUNE
Servizi Sociali
1 Assistente sociale

USP

1 Insegnante nominato dal Dirigente dell’Istituto
Il gruppo, così costituito, opera in maniera permanente nelle scuole dell’infanzia e primarie che aderiscono al progetto.
Il C.O.I.S. si riunisce in maniera periodica o su richiesta dell’insegnante curriculare in casi di grave necessità.
Operatori, quindi, dell’area pedagogica, dell’area socio-assistenziale, dell’area psicologica.

Obiettivo:
Questa formazione così costituita, si propone di superare le difficoltà riscontrate da parte degli operatori scolastici nel riconoscere e affrontare in maniera qualificata il mondo delle emozioni e degli affetti dei minori e la conseguente elaborazione rispetto alle loro capacità di ascolto e di dialogo.
I C.O.I.S. sostengono e supportano gli insegnanti soprattutto in relazione all’ostilità che spesso incontrano nei confronti delle famiglie dei minori coinvolti.

Tra i compiti che svolgono:
1. Promozione e diffusione della cultura della prevenzione con l’adozione di iniziative che garantiscano al minore il diritto ad uno sviluppo adeguato sul piano educativo, culturale e sociale.
2. Promozione della formazione, strumento indispensabile per trasferire le capacità in competenze. E’ necessario che gli insegnanti acquisiscano competenze specifiche soprattutto in relazione ai messaggi verbali che possano sottolineare gravi disagi. La richiesta di aiuto non si è sempre in grado di decodificarla. La scuola rappresenta il luogo privilegiato nel quale si può osservare e valutare l’eventuale disagio del bambino. Il gruppo che agisce in questo campo specifico promuove l’affinamento delle capacità di ascolto degli operatori scolastici.
3. Attivazione diretta dei servizi coinvolti AUSL, Comune, U.S.P. per la risoluzione delle problematiche attraverso un lavoro di rete interistituzionale con le agenzie istituzionali del territorio che si occupino di minori.
Funzione dei COIS e non degli insegnanti curriculari quello di accogliere, attraverso un circuito interno della scuola, le segnalazioni supportando l’operatore scolastico.
Supportare e sostenere l’insegnante curriculare diventa la priorità, soprattutto quando ci si trova dinnanzi a situazioni di minori che subiscono abusi e maltrattamenti nelle famiglie.
4. Valutazione delle segnalazioni degli insegnanti.
5. Migliorare la collaborazione tra gli operatori istituzionali per sostenere le famiglie maltrattate e favorire, così, risposte e aiuto.
6. Promuovere e diffondere la cultura dei diritti dei bambini secondo la Dichiarazione dei Diritti dei Bambini approvata il 20 novembre del 1959 dall’ONU, la Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia, approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 1989, ratificata dall’Italia con la legge 27 Maggio 1991 n. 176. Tale documento costituisce per gli Stati contraenti un vincolo giuridico.
7. Sottolineare l’importanza dell’appuntamento del 20 Novembre, la giornata della celebrazione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza con la promozione di iniziative mirate che affermino le tematiche relative ai diritti dei bambini.

DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DEL BAMBINO
approvata dall’ONU il 20.11.1959

Art. 1 - Il diritto all’eguaglianza, senza distinzione o discriminazione di razza, religione, origine o sesso.
Art. 2 – Il diritto ai mezzi che consentono lo sviluppo in modo sano e normale sul piano fisico-intellettuale, morale, spirituale e sociale.
Art. 3 – Il diritto ad un nome e ad una nazionalità.
Art. 4 – Il diritto ad una alimentazione sana, alloggio e cure mediche.
Art. 5 – Il diritto a cure mediche in caso di invalidità.
Art. 6 – Il diritto ad amore, comprensione e protezione.
Art. 7 – Il diritto all’istruzione gratuita, attività ricreative e divertimento.
Art. 8 – Il diritto a soccorso immediato in caso di catastrofi.
Art. 9 – Il diritto alla protezione contro qualsiasi forma di negligenza, crudeltà e sfruttamento.
Art. 10 – Il diritto alla protezione contro qualunque tipo di discriminazione ed il diritto ad una istruzione in uno spirito di amicizia tra i
popoli, di pace e di fratellanza.

Rosaria Leonardi, responsabile della regione Sicilia per il Dipartimento donne

Un centro di ascolto permanente per tutte le donne


E’ sempre più evidente come nel nostro Paese non sempre le donne abbiano le stesse opportunità di sviluppo socio-psicologico adeguato al nostro tempo.
Molta responsabilità, indubbiamente, deriva sia da una immigrazione sconsiderata ed incontrollata perpetuata in questi anni - dove la donna è prima merce di scambio piuttosto che persona meritevole di attenzioni particolari, al di là di ogni necessità di accoglienza – che dal degrado e dall’abbandono in cui versano realtà periferiche metropolitane dove, non solo la donna, ma tutta la realtà umana, sono lasciate in balìa di eventi violenti che annientano la dignità personale e familiare.

In un quadro di problematiche eterogenee che colpiscono, indiscriminatamente, donne che nel nostro Paese hanno cercato la via della salvezza fuggendo da una realtà evidentemente disastrosa, donne che, pur essendo nate in Italia, sono comunque emarginate dalla società per molteplici ragioni (soprattutto socio-culturali), sarebbe auspicabile trovare il modo per avvicinarsi, ed avvicinarle, con una struttura semplice ma che sia in grado di poter dare, almeno in parte, le risposte che altrove non troverebbero e di fatto, non trovano.

E’ a tale scopo il Dipartimento donne propone, in ogni realtà provinciale o cittadina, dei CENTRI DI ASCOLTO PERMANENTI.

Queste strutture dovranno dare un primo, valido, aiuto alle donne che vi si rivolgono, standole semplicemente ad ascoltare.
Sarà poi cura dell’operatrice offrire un consiglio utile e risolutivo se la richiesta della donna è di facile soluzione, oppure individuare la struttura o la figura professionale più idonea al problema segnalato. Il vero risultato lo si otterrà se la donna che si è rivolta al “centro di ascolto” potrà trovare, facilmente e velocemente, una soluzione al suo problema.
La donna avrà bisogno di una figura professionale nella quale trovare disponibilità e conoscenza piena del suo problema e tale attività dovrà essere svolta in un clima di tranquillità e completa riservatezza.

Il Dipartimento donne della Regione Liguria propone di individuare aree in strutture cittadine già esistenti con il coinvolgimento dei nostri referenti amministrativi e politici e dei volontari italiani che potrebbero, grazie alla loro preparazione, impegno e presenza sul territorio, contribuire fattivamente alla riuscita di questo progetto.

Basta poco per organizzare un “centro di ascolto permanente” e bisogna fare molto per riuscire a dare il giusto significato e la dovuta importanza ad un servizio che richiede molta volontà e passione.


Chiara Folco, responsabile della Regione Liguria per il Dipartimento donne











Infanzia a rischio e microcriminalità
“… non vi può essere recupero senza prevenzione…”



L’intera regione Campania può essere definita un oceano di illegalità e la città di Napoli un vero e proprio corpo di reato. Infatti oggi si può, senza tema di smentita, definire l’attuale quadro in materia di ordine pubblico e legalità come drammatico e virulento e con una metastasi impregnata di illegalità diffusa su tutto il territorio, con poche probabilità di sapere se l’antidoto contrasto-prevenzione-repressione possa rimediare ad una pervasione penetrante, visibile ed occulta del soggetto camorra in tutti gli apparati anche quelli mirati alla lotta del sistema criminale.
L’immagine di Napoli, è quella di una città corrotta ed infetta, su un territorio regionale, fatta salva qualche eccezione, gestito dagli apparati criminali e da conviventi politici: non è stato fatto nulla per debellare la criminalità organizzata che si infiltra sempre di più negli apparati pubblici ma, al contrario, più si progetta, più si investe, più si finanzia, più la camorra, annidata in tutti i settori, potenzia i suoi apparati e riempie i suoi forzieri.

Le organizzazioni criminali trovano terreno fertile per il reclutamento di minori da utilizzare nelle più svariate attività criminose, poiché in alcuni casi sia la scuola che la famiglia non rispondono alle esigenze primarie ed alla sua formazione sociale e morale. Il nucleo familiare malavitoso addestra, fin dalla piccola età, all’esercizio della illegalità i propri figli e l’educazione degli stessi, soprattutto se maschi, avviene in un contesto ambientale che con linguaggi, gesti e violenze forgia la recluta figlio per l’esercito della camorra.

Attualmente la camorra può contare su un ampio consenso sociale di migliaia di famiglie e prole, si avvale dei giovani impiegandoli come spacciatori al minuto di droga, i cosiddetti muschilli, per estorsione ed anche come killer. La non punibilità dei minori fino a quattordici anni, prevista dalla legge penale italiana è, di per sé, inadeguata a rispondere al fenomeno della devianza minorile e della crescente microcriminalità; l’aumento infatti, si registra soprattutto tra i minori di quattordici anni ove la microcriminalità è ormai senza freni e controlli. L’attuale ruolo delle Istituzioni, nella città di Napoli in particolare, soprattutto quello svolto nei servizi sociali e nella tutela dei minori è del tutto assente o inadeguato, come totale è l’inerzia dell’amministrazione comunale sul versante assistenziale con interventi mirati al sostegno delle famiglie prive di risorse economiche, al diritto all’istruzione, alla salute e alla formazione lavorativa.
Per i bambini e per giovani, prima che per altri, occorre impegnarsi a predisporre servizi e strutture per tentare di cancellare le condizioni di degrado socio-ambientale che favoriscono la devianza e diventa prioritario rioccupare il territorio dove la fragilità istituzionale e la crisi sociale sono esigenze più pregnanti. I minori si modellano in questo contesto impregnato di illegalità e fatto di strada, piazza e vicolo che diventano componenti della loro formazione caratteriale.

E’ indispensabile e non più procrastinabile nel tempo, adottare interventi urgenti mirati al recupero di minori già coinvolti e prevenire l’ulteriore disgregazione di fasce giovanili. La non presenza stabile di professionalità dell’area psico-pedagogica e socio-assistenziale nella scuola è tra le cause della grave devianza minorile, sia per la dispersione che resta gravissima e sia per la scarsa propensione nel comprendere i primi disagi familiari ed ambientali degli alunni minori.

La carenza delle infrastrutture destinate all’infanzia e all’adolescenza, la scarsità di progetti per recuperare i ragazzi dopo l’orario scolastico, l’impreparazione delle famiglie rispetto al loro ruolo sociale, contribuiscono ad evidenziare il disagio minorile. Occorre, pertanto, realizzare progetti integrati, programmare azioni mirate ( scuola-comune- servizi sociali – associazioni - istituzioni religiose), creare centri di socializzazione, laboratori polifunzionali di formazione professionale, centri per attività creative e recupero scolastico, usufruendo di tutte le strutture pubbliche disponibili e all’occorrenza anche di strutture confiscate alla camorra stessa.
Tutto ciò affinché la strada non diventi, per questi bambini e adolescenti, terra di conquista, scuola di violenza e prepotenza, rendendoli pronti, quindi, a diventare parte, fin dalla più tenera età, prima della microcriminalità e poi della macro criminalità.

Vista la gravità assoluta in cui versa la Regione Campania ed in particolare la città di Napoli ed il suo hinterland, si ritiene che occorrano misure legislative speciali in materia di sicurezza e prevenzione per i minori, iniziando proprio dalla scuola materna.
Un ruolo fondamentale ed importante possono svolgerlo le associazioni, purché qualificate, in ordine alle quali dovrebbe essere completamente rivista la legislazione vigente.

Il Dipartimento donne della Regione Campania propone:

l’ istituzione della Consulta nazionale delle associazioni;

l’istituzione di albi regionali di associazioni di volontariato differenziate per le loro specifiche identità (culturali- sportive- religiose- assistenza agli anziani -recupero minori);

la revisione della normativa che regola l’erogazione di fondi pubblici al fine di evitare l’elargizione di contributi a pioggia su associazioni non qualificate o fantasma;

controlli seri e capillari sui progetti presentati dalle associazioni medesime e sui risultati ottenuti durante lo svolgimento degli stessi, mediante monitoraggio dei dirigenti scolastici, delle Istituzioni religiose e\o delle strutture sociali pubbliche esistenti;

l’istituzione di Commissioni di controllo, nominate dagli enti locali e composte da professionisti qualificati e specializzati che, in collaborazione con la Procura dei minori, i servizi sociali e il servizio minori di Polizia locale, verifichino il raggiungimento degli obiettivi e gli effetti prodotti dalle attività svolte dalle associazioni;

abbassare l’età imputabile per i minori, equiparare i detentori di armi da taglio ai possessori di armi da fuoco, così come già proposto, nella scorsa legislatura con un D.d.L. dal senatore Michele Fiorino;

pene più severe per gli sfruttatori di minori e per chi induce gli stessi a compere attività illegali.

Questo è ciò che, con l’ausilio di esperti del settore, il Dipartimento donne della Regione Campania intenderebbe realizzare nel più breve tempo possibile, proponendo, quindi, la promozione di un tavolo tecnico al fine di sviluppare ogni iniziativa mirata a dare risposte chiare e concrete a tutti i cittadini del centro sud.


Maria Teresa Angiulli, responsabile della Regione Campania per il Dipartimento donne


(il Dipartimento nazionale donne e il Dipartimento rete del sociale, istituiranno un tavolo permanente interdipartimentale al quale parteciperanno tutte le categorie interessate)













I servizi socio educativi per la prima infanzia:
una esigenza imprescindibile per la famiglia del XXI secolo



Il Consiglio Europeo ha tenuto una sessione straordinaria il 23 e 24 marzo 2000 a Lisbona per concordare un nuovo obiettivo strategico per l'Unione, al fine di sostenere l'occupazione, le riforme economiche e la coesione sociale nel contesto di un'economia basata sulla conoscenza.
In quella sede, è stato posto un obiettivo comune molto ambizioso: raggiungere una copertura territoriale del 33% nel 2010, di servizi socio educativi per la prima infanzia quali, asili nido, servizi integrativi e servizi nei luoghi di lavoro.
Tali servizi, dedicati ai bambini tra i tre mesi ed i tre anni, rappresentano un impegno alla la persona, alla famiglia e alla collettività, presente e futura. In Italia, però, vi è ancora un forte squilibrio tra il Nord e il Sud e la crescita complessiva del sistema nazionale è ancora molto lontana dagli standard europei.
La copertura attuale in Italia, secondo i dati ISTAT del 2004 che rilevano i bambini iscritti presso gli asili nidi e presso i servizi integrativi e innovativi, è pari al 11,4%: ben lontani dal 33% dell’obiettivo di Lisbona. La distribuzione sul territorio dei circa 188mila posti attuali è fortemente squilibrata: in Campania ha trovato posto presso i servizi socio-educativi per la prima infanzia l’1,7% dei bambini della regione, mentre in Emilia Romagna è stato accolto il 27,1% dei bambini in età 0-3 anni.
Nella Legge finanziaria 2007, sono stati previsti 340 milioni di euro, di cui 250 milioni da ripartire tra tutte le regioni, allo scopo di aumentare l’offerta globale e 90 milioni destinati ad undici regioni che presentano un tasso di copertura inferiore alla media nazionale, a scopo perequativo (tutte le regioni del Sud, più il Veneto, il Friuli ed il Lazio). A queste risorse si sono aggiunti 211 milioni di euro che le regioni del Sud, nell’ambito del Quadro Strategico Nazionale, si sono impegnate a destinare allo sviluppo delle strutture socio-educative, per raggiungere gli obiettivi ed i target richiesti dal QSN. Le altre regioni del Nord hanno contribuito al piano con un cofinanziamento del 30%, pari a circa ulteriori 53 milioni di euro. Per i bambini da ventiquattro a trentasei mesi, utilizzando la rete scolastica nazionale, sono stati finanziati progetti per 30 milioni di euro che puntano ad un incremento di circa 20.000 posti nelle cosiddette “sezioni primavera”.
Gli obiettivi del governo miravano a realizzare oltre 50.000 nuovi posti nel sistema integrato dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, sia attraverso la realizzazione di nuovi posti presso gli asili nido tradizionali, costruendo o adeguando locali e strutture, sia ampliando l’offerta presso i servizi integrativi innovativi. Tutto ciò è ancora lontano dal realizzarsi.
C’è bisogno di un sistema integrato di asili nido e nuovi servizi territoriali, anche sui luoghi di lavoro, per migliorare le opportunità di socializzazione e crescita dei più piccoli, restituire tempo alle famiglie ed incoraggiare l’occupazione femminile.
Ancora oggi, infatti, vi sono donne che vengono licenziate perché in attesa di un figlio o che vengono cacciate dai luoghi pubblici perché allattano i loro neonati. Le aziende, al contrario, dovrebbero aiutare la famiglia, partecipare ai servizi per l'infanzia, essere disponibili ad accordi di conciliazione tra il tempo del lavoro, il tempo della città e il tempo della famiglia e della scuola. Gli esercizi pubblici, a loro volta, dovrebbero tener conto della famiglia, compresi i bambini con le loro necessità di allattamento, di cambio e di gioco.
Inoltre, gli asili nido non sono luoghi dove posteggiare i bambini. Sono luoghi di crescita, pensati e posti in essere a misura dei più piccoli. Occorrono, quindi, figure professionali e spazi adeguati ed anche per il loro funzionamento occorrono risorse pubbliche, ma, comunque, è essenziale la costruzione di nuovi posti. Oggi spesso la copertura è assicurata solo dagli asili privati e di conseguenza, bisogna rendere questi ultimi accessibili a tutti, mantenendo comunque alti gli standard di qualità, o incrementare il numero di quelli pubblici.
Bisogna tener presente che gli asili nido sono principalmente un servizio per i bambini, uno strumento di socializzazione in grado anche di far superare difficoltà dell’ambiente familiare, senza dimenticare che chi frequenta un asilo sarà facilitato nel futuro percorso scolastico. Ma, tale servizio, va reso anche più flessibile per andare incontro alle reali esigenze delle famiglie, la cui reale risorsa mancante è il tempo, aumentando la ricettività degli asili e conciliando gli orari con i tempi di vita e di lavoro. Questo soprattutto per le donne, che dovrebbero essere messe nelle condizioni di coniugare meglio la responsabilità di essere madri con il lavoro.
In particolare, tutte le aziende dovrebbero dotarsi di nidi aziendali che, a costi contenuti, potrebbero consentire a molte mamme lavoratrici di non abbandonare il posto di lavoro, obbligate oggi a farlo per la carenza di strutture adeguate o per l’alto costo delle stesse o per la difficoltà logistica di raggiungerle.
In questo contesto si inseriscono anche le ludoteche, ancora poco numerose per mancanza di cultura, che sono centri di istruzione ricreativo didattico, dove i bambini vivono esperienze nuove attraverso la realizzazione di percorsi interdisciplinari in cui musica, danza, tecnologia, arte e natura si integrano col gioco e le attività di gruppo.
Altro discorso meritano poi gli asili nido interni alle strutture carcerarie femminili, che evitando che i bambini vivano la detenzione delle madri come una propria punizione pagandone poi le conseguenze in prima persona, li preparino, invece, ad affrontare il mondo esterno come bambini uguali a tutti gli altri.


Il Dipartimento donne di S. Giorgio a Cremano propone che:
1. l'asilo nido, per le sue finalità sociali, sia concepito come servizio pubblico rivolto alla collettività e non come servizio pubblico a domanda individuale e che faccia parte di un sistema in cui pubblico e privato siano complementari, ad assicurare la copertura del fabbisogno dell’intera popolazione, garantendo a tutti, tenendo conto anche della loro posizione economica, l’accesso a tale servizio;
2. ciascun Comune, singolo o associato nelle forme di cui al T.U. degli EE.LL, sia tenuto ad erogare questo servizio secondo i bisogni espressi dal territorio e ad incoraggiare, attraverso appositi bandi, la creazione di nuovi servizi socio – educativi per la prima infanzia, quali asili nido privati, ludoteche e nidi aziendali;
3. ogni anno, indipendentemente da vincoli di bilancio, nella legge finanziaria debba essere previsto un fondo specifico per gli asili-nido pubblici comunali e per la creazione dei nuovi servizi di cui sopra;
4. si incentivi, tramite sgravi fiscali alle aziende che li propongono, la creazione di nidi aziendali per consentire a molte mamme lavoratrici di non abbandonare il proprio lavoro;
5. Si vigili affinché tutte le strutture carcerarie femminili siano dotate di servizi socio – educativi per la prima infanzia di elevato standard di qualità.
6. si rispetti l’obiettivo, espresso dal Consiglio Europeo di Lisbona, di raggiungere, entro il 2010, una copertura del 33% sull’intero territorio nazionale di servizi socio – educativi per la prima infanzia, facendo attenzione che non persistano aree del paese dove il servizio sia meno presente o più carente, come purtroppo succede oggi nelle regioni meridionali.


Ilaria Battistoni, Dipartimento donne di S. Giorgio a Cremano


(il Dipartimento nazionale donne e il Dipartimento rete del sociale, istituiranno un tavolo permanente interdipartimentale al quale parteciperanno tutte le categorie interessate)








Integrazione alla Carta dei Diritti degli Animali
la pet therapy - il difensore civico degli animali – la cinofilia


Il Dipartimento nazionale donne chiede che l’attuale Carta dei Diritti degli Animali venga integrata con argomenti concernenti il settore della cinofilia.

Per la maggiore conoscenza e divulgazione e diffusione della pet-therapy intesa come AAA - AAT (Attività svolte con l'ausilio di animali - AAA e Terapie effettuate con l'ausilio di animali - AAT), la cui rilevanza sociale è indiscutibile, il Dipartimento nazionale donne chiede che vengano inquadrati e riconosciuti professionalmente gli operatori cinofili in quei progetti che hanno forte rilevanza sociale e come obiettivo il miglioramento della qualità della vita di alcune categorie di persone: (anziani, ciechi, malati terminali, bambini che presentano le psicopatologie dell'infanzia, fanciullezza e adolescenza [disturbi dell'apprendimento; delle capacità motorie; della comunicazione; generalizzati dello sviluppo (autismo); da deficit dell'attenzione e del comportamento; da nutrizione; altro (ansia da separazione, disturbo reattivo dell'attaccamento)]; individui che presentano le psicopatologie dell''età adulta [disturbi correlati all'assunzione di sostanze; cognitivi (demenze, ecc.); schizofrenia; umore; ansia e depressione; dell'adattamento; di personalità; dell'alimentazione]; cardiopatici; portatori di handicap psichici e/o fisici.

Diventa pertanto fondamentale l’abbattimento di ogni barriera socio-culturale che limita l’accesso ai cani nella maggior parte delle strutture comprese quelle sanitarie, dove sarebbe auspicabile, in un futuro, si dotassero di apposite aree per una utile e comune convivenza.

L’educazione cinofila, attraverso veterinari ed esperti in comportamento animale, deve diventare parte integrante dei programmi scolastici, come lo sono diventati l’educazione civica, ambientale e stradale: avere consapevolezza che gli animali possono far parte della nostra vita è un preciso dovere morale al quale sarebbe necessario rispondere.

Il Dipartimento nazionale donne propone inoltre l’introduzione di punti di assistenza veterinaria permanente in zone altamente frequentate, nelle stazioni, aeroporti e nelle aree di servizio. Tali punti di assistenza avrebbero un duplice compito: aiutare i proprietari di cani nei momenti della vita quotidiana e le Istituzioni nell’assolvimento di particolari procedure sanitarie e di sicurezza.

Il Dipartimento nazionale donne propone, in ogni Regione, l’istituzione dell’Ufficio del Difensore civico degli animali, nel quale devono essere presenti le seguenti figure professionali: un veterinario, un esperto di comportamento animale, un giurista. Tale Ufficio avrà il compito di vigilare sulla tutela e il benessere degli animali e sul rispetto dell’applicazione delle norme che regolano la convivenza tra uomo e animale.

In ordine al problema dei canili, il Dipartimento nazionale donne propone che diventino centri di accoglienza temporanea gestiti regionalmente, dove i cani recuperati sostino il tempo necessario per gli accertamenti sanitari, eventuali profilassi e cure, vengano registrati in una apposita banca dati telematica e successivamente destinati a strutture comunali che dovranno provvedere alla loro cura e al loro benessere. I canili, oltre ad occuparsi della vita quotidiana dei cani, dovranno promuovere attività di “affiancamento”, ovvero attività legalmente redditizie come ad esempio una pensione per animali di proprietà, un ambulatorio veterinario e negozi con vendita esclusiva di prodotti per animali.
Gli utili derivanti da queste attività commerciali saranno reinvestiti per far fronte alle spese per le quali i fondi comunali non sono sufficienti e per la realizzazione di campagne di sterilizzazione e di sensibilizzazione inerenti i diritti degli animali.
Accanto alle suddette attività sarà possibile organizzare, con l’obbiettivo di attirare il maggior numero di persone, eventi e spazi culturali come: conferenze, biblioteche, consulenze (veterinarie e legali), corsi di educazione e formazione, con la partecipazione delle associazioni, dei volontari, dei bambini, degli anziani e dei disabili.
Il Dipartimento nazionale donne propone infine di poter istituire tavoli di confronto con la associazioni di categoria e con l’Ente della cinofilia italiana (ENCI) per un fattivo e propositivo lavoro in favore degli animali tutti.



Marisa Borghi, responsabile Regione Toscana per il Dipartimento donne
















Domani il sole brillerà di nuovo
e sul cammino che percorrerò ci riunirà di nuovo, felici,
in questa terra che respira il sole...


E scenderemo silenziosi e lenti
verso la spiaggia larga e le onde azzurre,
ci guarderemo, muti, negli occhi:
muto silenzio di felicità...

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